Pranzo di famiglia | Bryan Washington

Pranzo di famiglia | Bryan Washington

C’è un fondo di speranza dopo tanto dolore, parola di Brian Washington.

Recensione di Chiara Bianchi

Mi ero già addentrata nella scrittura di Bryan Washington (in Italia sono già stati tradotti e pubblicati Lot (Racconti Edizioni) e Promesse (NN Editore), il suo romanzo d’esordio di cui parlai a suo tempo (qui la recensione). 
Pranzo di famiglia, pubblicato da NN Editore, tradotto da Fabio Cremonesi, si presenta in copertina gialla e un’indicazione dell’editore sulla quarta: In questo libro c’è un uomo nudo. Nell’aletta posteriore, il chiarimento dell’editore che vuole affacciarsi alla proposta di romanzi in cui si parli di lotta e di diversità degli uomini, «con il desiderio di stimolare una riflessione collettiva sul maschile […]». E prima di iniziare, il romanzo propone la nota dell’autore in cui Washington avverte i lettori: «Questa è un’opera di narrativa che parla di autolesionismo, disordini alimentari e dipendenza. Se avete problemi di salute mentale o dismorfofobia, questo romanzo potrebbe mettervi alla prova.». 
Dopo le varie premesse, finalmente, inizia la storia. Washington mantiene la struttura del suo romanzo d’esordio (Promesse), affidando a parti autonome il compito di raccontare i protagonisti. La prima che conosciamo è la voce di Cam, è tornato a Houston, sua città natale, dopo la morte del suo compagno, Kai, e la fine della vita che stavano costruendo assieme a Los Angeles. Ora Cam è ossessionato da quel passato, per allontanarsene fa uso di droghe, ha un irrisolto disturbo con il cibo e cerca sesso occasionale utilizzando le app di incontri. 
Una sera, il primo fantasma dal passato torna nella sua vita, si chiama Tj, entra nel bar-gay dove Cam lavora, riportando a galla immagini, ricordi, e descrivendo Cam come una persona senza cura per gli altri. 
Pian piano quel senso di apnea in cui vive disperso Cam si scioglie, ma deve prima raggiungere il fondo, grattarlo, vivere una spaventosa solitudine di cui non si rende conto, perché, in fin dei conti, come dice il fantasma di Kai con cui continua a dialogare, «è più facile passare il tempo a rimuginare sulla morte che vivere». 
Eppure, la parola amore compare soltanto poco prima della fine, sussurrata, quasi colma di un senso di vergogna. E saranno altre avventure, altre persone a determinare in Cam, e non solo, il desiderio temuto di ricominciare a vivere e per farlo ha bisogno degli altri. L’unico atto di cura reciproca tra i personaggi della storia è il cibo, la preparazione, la condivisione. Ed è forse per questo allontanamento dall’amore che Cam sembra rifiutarlo. 
Scoprire il modo brutale in cui perde la vita Kai, il senso della violenza in cui i protagonisti vivono, quasi come se niente fosse, le strade di Houston – la quale viene descritta nelle mani della gentrificazione – trova da contraltare l’espressione di un sesso libero, gratificante, esplicitato nell’atto della seduzione. 
La sensualità e gli stati d’animo degli spazi queer minacciati dalla città sono uno degli aspetti meglio riusciti della scrittura di Washington che vota, ancora una volta, lo spazio bianco della pagina a simbolo dell’impossibilità di raccontarsi totalmente. 
A un certo punto della storia, compare Bree la sorella di Kai, che dice una delle frasi più iconiche del libro e che riassume tutta la storia raccontata: «A volte la cosa migliore che possiamo fare è vivere l’uno per l’altro. È più che sufficiente. Anche se non sembra». 
Amore, dolore, dignità queer, famiglie assenti o rigide, relazioni poliamorose, sesso occasionale, città diversamente adatte alla gente di colore, Washington sembra inseguire, come una chimera, la completezza di questi temi da un romanzo all’altro. E non è questo che fanno molti scrittori? Riscrivere la stessa storia fino a esaurirne la portata. 

Un’altra frase che Kai amava dire: l’amore è qualcosa di tangibile. 
È palpabile. 
Puoi tenerlo tra le mani. 
Puoi vederlo nell’aria. 
Puoi inspirarlo, trattenerlo ed espiarlo dai polmoni. 
Quando si dissolve, magari non lo vedi più, ma ciò non significa che non fosse reale. 
Perché tu lo eri.



Titolo: Pranzo di famiglia
Autore: Bryan Washington
Traduzione: Fabio Cremonesi
Casa editrice: NNE editore
Pagine: 352
Pubblicazione: 2024

Compra sul sito dell'editore


Ti è piaciuto questo articolo? Dacci una mano! Il tuo aiuto ci consente di mantenere le spese di questa piattaforma e continuare a diffondere l'arte.
L'associazione si sostiene senza pubblicità ma soltanto con le tessere associative e l'impegno dei soci.
I Link verso i canali di vendita sono inseriti al solo scopo di agevolare gli utenti all'acquisto.
Sottoscrivi la tessera associativa con una piccola donazione su PAYPAL
Oppure puoi offrirci un caffè.

 

Privacy Policy