Bryan Washington - Promesse
Un romanzo che ci racconta di prossimità dei corpi, di frasi spezzate e della forza di un gesto
di Chiara Bianchi
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Immaginate la madre del vostro partner, che non avete mai conosciuto, piombare in casa vostra direttamente dal Giappone, proprio mentre l’altro sta partendo, per un tempo indefinito, per raggiungere suo padre malato terminale.
Vestite i panni di Benson a colazione con la madre di Mike che vi chiede: “Da quant’è che dormite insieme tu e mio figlio?”, mentre voi sapete perfettamente che con suo figlio siete arrivati probabilmente al capolinea.
Ad aumentare la dose di incertezza, una famiglia frammentata, dispersa o disperata, che vi ferisce al solo pensarla.
È così che Bryan Washington ci fa entrare nel suo primo romanzo. Formato da tre sezioni: Benson; Mike; Benson. Apparentemente un cerchio, che tutto sommato ha più l’aspetto di un triangolo... delle Bermuda!
Washington ci fa respirare l’aria di Houston, volare per le vie di Osaka, con un biglietto di andata e ritorno, in un alternarsi dalla testa di Benson a quella di Mike, in un vorticare di pensieri, ricordi, scelte, parole non dette, o dette a metà.
Egli ci ha già mostrato, nella sua raccolta di racconti “LOT” (pubblicata in traduzione italiana da Racconti Edizioni), quanto la sua scrittura sia lucida, diretta, matura oltre le aspettative di una giovane vita, come la sua.
In Promesse i personaggi frequentano app di incontri, scrivono messaggi telegrafici farciti di emoji, scattano e si inviano fotografie. Un corollario di azioni quotidiane, nelle quali ognuno può riconoscersi.
Poi c’è Mike, mettetevi anche nei suoi di panni. Sta per partire per il Giappone ad assistere suo padre negli ultimi giorni (?), mesi (?), della sua vita, dopo un silenzio durato troppo. Ha una relazione omosessuale e interraziale con Benson, afroamericano, la quale sta affondando e lui lo sa.
Il raccontarsi in prima persona coinvolge il lettore, che finisce per empatizzare, prima per la prospettiva di Benson, poi per quella di Mike. Praticamente si finisce per amarli entrambi, con i loro difetti, le loro verità, i loro gesti, i non detto e gli abbastanza.
"Per me sei abbastanza, ho detto. La nostra situazione è abbastanza. Con tutto ciò che ne consegue."
Quando però torniamo a essere Benson, nell’ultima parte del romanzo, non siamo più davvero convinti che sia egli la vera vittima, nonostante, ricordiamolo, sia stato lasciato in compagnia di una sconosciuta.
L’abilità di Washington risiede nel dosare la trama. Essa avanza per brevi sezioni, nell’intreccio tra passato e presente, tra casa e lavoro, tra Houston e Osaka. In alcuni passaggi, compaiono frasi, metafore, di grande pregio lirico, nelle quali pare intervenire la voce dello scrittore, in una sorta di saggezza poetica, che si discosta dal linguaggio parlato dei personaggi.
Stavamo a mollo sul bordo del materasso come bustine da tè.
La cucina come luogo e tempo del ritrovarsi. Molte sono le scene nelle quali la cucina fa da sfondo e le pietanze vengono descritte in ogni loro passaggio.
È prerogativa dei personaggi fare male all’altro, schernirlo con sapiente sarcasmo o ironia, a seconda dei momenti; parlare o tacere di argomenti complessi come la razza, la sessualità, il dolore, le divergenze di classe sociale, i traumi dell’abbandono, la morte.
Qualunque cosa accada nelle loro vite, comprese le violenti aggressioni fisiche tra i due, non vede in alcun modo un intervento esterno. Gli unici mediatori plausibili sono il sesso e il silenzio. Quest’ultimo si interpone, imbarazzante e palpabile, tra le parole spezzate e le frasi non dette, ed è proprio in quegli attimi in cui personaggi rivelano sé stessi.
Grande attenzione è rivolta alle dinamiche familiari dei due protagonisti che si trovano a confrontarsi coi loro padri. La riluttanza di Benson e i tentativi di Mike di sintonizzarsi con la vita di Eiju.
"Non che non sapesse che ero gay. Lo sapeva. Ma non era una cosa di cui avevamo parlato. Non con parole vere che potevi percepire e vedere fra di noi. Era solo una sensazione nell’aria, ogni volta che interagivamo, come una buca per la strada. Qualcosa che non avevamo bisogno di rimarcare tutto il tempo, in ogni istante. Perché era implicita."
La scrittura di Washington è essenziale, senza fronzoli, diretta alla vita, al gesto compiuto e alla parola mancata. Egli ci sta davvero chiedendo di metterci nei panni dell’altro, di cui non sapremo mai tutto, ma di cui percepiamo l’unicità.
La bella postfazione di Emanuele Giammarco, traduttore, ci chiarisce anche alcuni aspetti linguistici che sembrano a primo acchito bizzarri. È arduo tradurre e descrivere un gesto. Eppure, qui diventa immagine, sfiorando la perfezione.
Bryan Washington | Promesse
Traduttore : Emanuele Giammarco
Numero Pagine : 352
ISBN : 979-12-80284-03-7
In libreria da : 20-05-2021
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