La Casa di Carta | Netflix

La Casa di Carta | Netflix

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Ed ecco che anche gli spagnoli arrivano su Netflix a dire la loro.
Ero perplessa con i crucchi (non me ne vogliate tedeschi in lettura, ci saranno sicuramente un sacco di tedeschi che leggono Crunched, no?) che mi hanno piacevolmente stupito con “Dark”, ero terrorizzata da quegli antipatici dei francesi (vale parentesi sopra, non me ne vogliano i cugini francesi) che mi hanno fatta innamorare de “Les Revenants”, ero angustiata dai fiamminghi che mi hanno tenuta relativamente buona con “Tabula Rasa”.

Quando ho visto che “La casa di carta” era spagnola ho avuto un piccolo brivido di gioia mista terrore. La gioia per la lingua, adoro la cadenza spagnola c’è poco da fare, il terrore perché non ero sicura che fosse una cosa valida onestamente.
E invece.
Un binge watching così non avveniva dai tempi di “Les Revenants” in effetti.

Otto persone con la fedina penale non pulitissima vengono reclutate da “il professore” per attuare la rapina del secolo: rubare 2400 milioni di euro dalla zecca nazionale spagnola a Madrid.
Non ci dicono i nomi dei rapinatori, ma ognuno di loro sceglie come identificativo un nome di città. Così Tokyo, la voce narrante, e i suoi compagni capitanati da Berlino, un uomo tanto inquietante quanto affascinante, riescono a introdursi nella zecca di stato indossando maschere raffiguranti il volto di Dalì e prendendo in ostaggio 67 persone.
Da quel momento inizia la vera e propria storia che alterna alle ore di rapina e negoziazione con la polizia, guidata dalla tormentata ispettrice Raquel Murillo, i flashback di come “il professore” ha architettato il piano nei minimi dettagli e di come lo ha insegnato, tenendo delle vere e proprie lezioni, ai suoi prescelti. 


C’è da dire che la qualità non è altissima, ma la fotografia e la colonna sonora non sono affatto male e il ritmo è bello intenso. Alla lunga diventa un po’ ripetitivo forse, ma di certo “La casa di carta” non annoia.
In un periodo dove i prodotti migliori sembrano essere tutti conditi di inevitabile lentezza (ad esempio “The crown” che è tanto bello quanto lento) cercavo proprio qualcosa che mi tenesse sul filo del rasoio.
Con “Tabula rasa” e compagnia cantante non ci erano riusciti, ma con “La casa di carta” decisamente sì.

I personaggi sono ben caratterizzati ed emergono i loro lati deboli e i loro diversi caratteri durante la rapina, forse avrei gradito sapere un po’ di più delle loro vite precedenti alle quali non è dato alcuno spazio se non qualche frammento qua e là. Probabilmente ci sarebbe stato un po’ l’effetto alla “Orange is the new black”, ma non credo avrebbe guastato.

Fatto sta che in pochi giorni ho divorato la prima stagione e ora fremo perché il 6 aprile il Dio Netflix ci donerà la seconda e vedremo se riusciranno a tenere il ritmo e la curiosità della prima.
Io sono pronta a scoprirlo e in caso a farvelo sapere.
PS: la scena di “Bella Ciao” è epica. Non dico altro, va vista.


 © Giulia Cristofori 

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