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Dopo “Alias Grace” Netflix esce con “L’Alienista” un period drama tratto dall’omonimo libro di Caleb Carr. Ambientata nella New York di fine diciannovesimo secolo, la serie è un thriller dai contorni vagamente horror, che si lascia guardare con soddisfazione fino alla fine.
Sin dalla prima scena ci si addentra subito nel vivo della storia: una goccia di sangue cade da un cadavere su un ponte e finisce sul viso di un poliziotto, che col suo sfollagente battuto sui pilastri di ferro dà il via al tam tam in città mettendo le forze dell’ordine in allarme. Un ragazzino vestito da donna è stato ucciso. Lo hanno smembrato, privato degli occhi ed una mano gli è stata amputata. Questo delitto porta con sé tutto il carico di pazzia del degenerato che si è macchiato di questo orrendo atto.
Per cercare di svelare l’identità del killer, si costituisce una task force ante-litteram che mette in campo tutte le primordiali teorie di psicopatologia criminale e criminologia forense per dare significato a ciò che senso non pare avere: i gesti efferati di un folle.
Daniel Brühl ("Captain American: Civil War", "Goodbye Lenin") interpreta Laszlo Kreisler, un dottore distaccato, analitico, freddo, dai modi lontanamente sherlockiani e scevri delle brillanti doti deduttive del detective inglese, che ha interesse per coloro i quali il mondo reputa essere alienati dalla realtà e dalla loro natura. Luke Evans ("La Bella e la Bestia", "Lo Hobbit — La desolazione di Smaug") è John Moore, il braccio destro di Kreizler, la cui figura controbilancia con cuore e animo la condotta del dottore. Dakota Fanning ("American Pastoral") veste i panni di Sara Howard, la segretaria del capo della polizia di New York, unica donna all’epoca a ricoprire una mansione tanto importante all’interno delle forze dell’ordine. Discriminata, molestata e sminuita sul posto di lavoro, costretta subire abusi di potere e a farsi largo in un mondo per lo più sessista che non ha rispetto né considerazione per le donne, aiuta i due e il resto del gruppo ad ottenere tutte le informazioni a disposizione della polizia.
Se solo questa serie fosse stata concepita diversamente, collocata geograficamente o temporalmente altrove, probabilmente non le avrei dedicato il mio tempo. La storia non presenta eclatanti colpi di scena, infatti la sua struttura è quella propria di una qualsiasi storia di investigazioni: omicidio, indagini, identificazione colpevole. Da questo punto di vista non c’è nulla di eccezionale. Ma voglio ben sottolineare tutti gli aspetti che me l’han fatta promuovere.
Il cast scelto per "L'Alienista" è degno di una qualsiasi produzione cinematografica. Brühl, Evans e Fanning non sono attori di primo pelo e hanno carriere per lo più affermate e, nonostante, a mio avviso, le loro doti interpretative siano lasciate in qualche misura inespresse, rimane comunque una delizia seguirli durante l’evolversi della trama. Il gruppo investigativo che — probabilmente loro malgrado — si viene a formare non è esente da attriti. Ogni personaggio ha la propria storia e vari aspetti della vicenda vanno ad intrecciarsi, talora a cozzare con il vissuto di ognuno di essi. Eccetto che nel penultimo episodio le trame secondarie non prendono mai il sopravvento della scena, sono tutte delicatamente inserite e servono semmai a dare profondità ai caratteri, che diversamente correrebbero il rischio di ricalcare unicamente stereotipi dell’epoca.
Benché questa serie non abbia una meravigliosa fotografia — cosa che invece salva "Alias Grace" per un pelo — la produzione fa un ottimo lavoro nell’immergerci nella New York del 1890 e rotti. I costumi come anche le ambientazioni contribuiscono a dare uno spaccato della grande mela dell’epoca, aprendo una finestra sullo squallore e le misere condizioni di vita degli immigrati indigenti, sulla corruzione dilagante tra le forze dell’ordine che erano persino disposte a chiudere un occhio sui locali che facevano “lavorare” ragazzini nella prostituzione, esponendoli a qualsiasi genere di pericolo e mettendoli alla mercè di pedofili, su come le più alte classi sociali muovessero le fila persino dei tutori della legge.
La trama, per quanto non abbia particolari guizzi creativi, getta fumo negli occhi con sapienza, come qualsiasi storia del genere dovrebbe, e tiene salda fino alla sua naturale conclusione. A differenza di "Alias Grace" la risoluzione del mistero non avviene ex-machina, ogni dettaglio viene svelato dai protagonisti con fatica e sudore. L’audience può a buon diritto sentirsi parte del gruppo investigativo, dal momento che a tentoni e da pressoché profani delle tecniche di profilazione dell’assassino i protagonisti provano a perseguire il colpevole. E se è vero che l’episodio conclusivo risponde in pieno al quesito chi? forse non dà motivazioni a sufficienza sul perché?
In ultimo mi trovo a dover menzionare necessariamente il lavoro di design della sigla introduttiva, che visivamente, in un colpo solo, allude con la decostruzione sia al fatto che la storia è ambientata indietro nel tempo, sia all’analisi punto per punto del pensiero del killer. La musica scelta lascia presagire il tono e la tensione che puntata dopo puntata la serie sembra regalare al pubblico con successo.
“L'Alienista” è in streaming su Netflix a partire dal 19 aprile.
© Stefano Pastore