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Il regista Paolo Sorrentino, nonostante sia alla sua prima serie tv, lo ha capito appieno colpendo lo spettatore con un gancio da ko: la scena iniziale di “The Young Pope” è un quadro surrealista riempito di irrazionale e macabro che rimarrà nell’immaginario collettivo per anni.
Ma procediamo con ordine: il Papa è morto ed al soglio pontificio viene chiamato Lenny Belardo (Jude Law), primo Papa italo/americano della storia, cresciuto in orfanotrofio da suor Mary (Diane Keaton). Il segretario di Stato Pontificio, nella persona del cardinale Voiello (Silvio Orlando), e il collegio cardinalizio del Vaticano pensano di aver eletto un giovane ed inesperto burattino. Fin dal primo episodio scopriranno che non è affatto così e che il nuovo Papa ha un progetto, una rivoluzione che sconvolgerà i fondamenti stessi della Chiesa.
“The Young Pope” è un progetto ambizioso, girato interamente in Italia tra le ville romane e Venezia; un sapiente uso da parte del regista di interni ed esterni non ci fa mai sentire la mancanza del Vaticano (dove, ovviamente, non potevano girare).
La cura visiva profusa da Sorrentino in questa serie televisiva la rende, esteticamente, una delle più belle serie mai realizzate: dalla sigla iniziale sulle note di “All along the watchtower” veniamo catapultati in una sequenza di scene quasi rarefatte, con la luce che taglia, inquadra i protagonisti e sottolinea le loro battute: il Papa spesso è circondato da un’aura di luce ed i marmi, così come i vestiti, creano e scolpiscono forme attentamente studiate. Nel contempo, il protagonista si lascia andare alle sue paure, ai suoi dubbi sostanzialmente di notte con le stelle, non a caso, come unica illuminazione.
Sorrentino ci ha abituati ad una regia curata e dinamica e anche in questo caso non è da meno, non si avverte staticità nonostante gli avvenimenti e la trama non siano particolarmente adatti ad un telefilm.
Infatti “The Young Pope” ha, a mio parere, due difetti sostanziali che non si possono cancellare facilmente: il primo è la trama, lenta e inconsistente. Capiamo che c’è un disegno maggiore in atto, che c’è uno scopo ma è confuso. Sentiamo ripetere almeno una volta ad episodio che il Papa ha un grande progetto, salvo poi perdersi di puntata in puntata in qualche questione minore senza lasciarci rivelare il suo vero progetto (sempre che non sia un bluff!).
Insomma, siamo lontani dal buon vecchio Mr. Underwood (“House of Cards”) che di episodio in episodio smascherava sempre di più i suoi pensieri per farci “progredire” assieme a lui. Il Papa, invece, rimane distante e imperscrutabile, cosa che ha sicuramente il suo effetto ma che unito al secondo difetto lo rende parecchio irritante.
Il secondo bug è dovuto, credo, al cosiddetto “metodo sorrentiniano” con il quale il regista fa, letteralmente, tutto: regia, trama e dialoghi. Questo sicuramente dà un’ unità di intenti ma lascia molto a desiderare nella realizzazione. I dialoghi suonano “falsi” nella maggior parte delle scene e, anche se questo può essere voluto, distanzia un gran numero di spettatori che vengono assaliti da una verbosità e da un nonsense che necessita di molte energie per essere seguito.
In conclusione, “The Young Pope” è una serie estetica, che poteva dare di più anche se è realizzata con una cura da grande schermo e, sicuramente, non è per tutti.
© Marco Castelletti