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Sono passati quattordici anni dalla prima puntata di “Gilmore Girls”.
Avevo quindici anni e non bevevo caffè.
Una serie che ha fatto un pezzo di storia (personale, ma non solo) e che è stata in grado di far ridere e appassionare persino mio padre che non ha mai avuto la pazienza di seguire le cose a puntate.
Sono stati sette anni di crescita. Le ragazze Gilmore hanno condiviso con noi fiumi di parole, annaffiate da fiumi di caffè consumati a un tavolino di Luke’s, sui loro problemi sentimentali e non. Ci hanno fatto ridere, piangere, sperare nella possibilità di avere un rapporto speciale con le nostre madri. Ci hanno consigliato libri e film e ci hanno insegnato che niente è irrisolvibile se davanti hai un caffè e un gelato.
Abbiamo conosciuto tutti gli abitanti di Stars Hollow e vissuto il rapporto conflittuale di Lorelai con i genitori alternato al rapporto speciale che, invece, sviluppa con la figlia avuta a soli sedici anni.
Come a ogni annuncio di revival, la paura è sempre tanta e le aspettative altissime.
Basta cliccare play per essere travolti dalla nostalgia. La sequenza in apertura è priva di immagini e non c’è la solita sigla ma soltanto voci che riportano una serie di battute che hanno segnato momenti importanti nel cammino della serie.
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Troviamo una Rory travolta dalla crisi dei trent’anni completamente fuori dal personaggio. È vero, si cresce, ma penso che in queste puntate ci sia ben poco di quello che era Rory, così piena di razionalità e ideali, e si sia spinto un po’ troppo sul mettere in evidenza solo i lati negativi del personaggio.
Storcerete il naso, vi lamenterete e lancerete maledizioni.
Probabilmente la maggior parte di quello che vedrete non vi piacerà, ma vi sfido a non arrivare sul finale con gli occhi pieni di lacrime e il cuore che ride, perché “l’effetto Gilmore” è proprio questo.
© Giulia Cristofori