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Dal 1 dicembre è nelle sale “Sully”, l’ultimo film di Clint Eastwood. Le aspettative erano moderatamente alte, adoro la regia di Eastwood e la sua capacità di trovare storie interessanti da raccontare, ad esclusione di “Jersey Boys”, penultimo film datato 2014 che si è rivelato un lavoro piuttosto facile e senza pretese.
Ma torniamo al presente.
Sono andato al cinema con l’idea di gustarmi finalmente il film in lingua originale e così è andata, ritrovandomi comodo in una sala deserta. La situazione ideale.
“Sully” è ispirato a una storia vera: nel 2005 un volo della US Airways appena partito dall'aeroporto La Guardia di New York impatta con uno stormo di uccelli causando la distruzione di entrambi i motori e una situazione decisamente critica.
Il comandante, Chesley Sullenberger detto ‘Sully’, deve affrontare una decisione importante: tornare indietro all'aeroporto o tentare un disperato ammaraggio nel fiume Hudson.
Il pilota decide per la seconda opzione, riuscendo a portare in salvo tutte le 155 persone su quel volo.
La compagnia aerea e la commissione per la sicurezza dei voli non sono d’accordo con la procedura, inizia così un processo che terrà banco per diverse settimane su tutti i media americani: Sully è un eroe o uno sconsiderato che ha rischiato troppo?
Sebbene il trailer sembrasse più intenso, promettendo di scavare nell’intimo del pilota alle prese con la sua coscienza e i suoi problemi familiari, la trama si sviluppa in un modo non troppo articolato. Il tutto viene liquidato in alcune battute fin troppo frettolose, anche se alcune scene sono senz’altro ben studiate e cercano di interrompere la monotonia. Sully vede le sue paure avverarsi e il suo aereo schiantarsi tra i grattacieli di New York in vari scenari tutti plausibili.
Tom Hanks e gli altri attori fanno il possibile con una buona recitazione e dando un qualche spessore ai personaggi ma questo non basta a rendere il film interessante, quello che manca non è recuperabile.
Neanche l’ottima regia di Eastwood risolleva questo lavoro, che a fine visione risulta un buon film al di sotto della media.
Per movimentare la trama e renderla meno lineare è stato usato l’espediente dei salti temporali: per tutto il film si viene rimbalzati tra il presente, nei giorni a ridosso del processo di Sully, e il passato di qualche settimana prima, al momento dell’incidente.
L’idea di fondo è funzionale ma anche in questo caso sfruttata male e la tensione non sale in nessuna occasione.
La fotografia invece usa toni freddi senza particolarità, facendo un buon lavoro senza strafare. Sono lontani i tempi di “Lettere da Iwo Jima” dove la luce era parte integrante della storia e della narrazione.
In conclusione, se vi incuriosisce la storia, “Sully” è un film piacevole da vedere, altrimenti fossi in voi guarderei (o riguarderei) altri classici di Mr. Eastwood come “Mystic River” o “Gran Torino”.
© Marco Castelletti