L’orrore! L’orrore! | Racconti Indigeribili

L’orrore! L’orrore! | Racconti Indigeribili

Scritto da Maria Franzè -
- Illustrato da da Gabriele Merlino


L’orrore! L’orrore!

La consapevolezza di essere il desiderio, l’amore, la fantasia di Jaques, che lei ama con tutto l’ardore dei suoi venticinque anni, la rende inebriata ed elettrizzata. Con lo sguardo perso e le parole prese dalle pagine dei romanzi d’amore tenta di spiegare alla madre dall’espressione indecifrabile, le sue ragioni del cuore. Blanche, di una bellezza perfetta e delicata che emana luce, parla fortemente eccitata, poi si ferma qualche istante per fare languidi sospiri. Poi riprende con impeto crescente. Ricerca l’approvazione della madre, guardandola fiduciosa e regalandole un sorriso dolcissimo. Ma gli occhi di madame Monnier guardano lontano, sono inafferrabili e le sue labbra serrate ma tremanti, come sul punto di esplodere in una risata nervosa o in un urlo.
«Ho detto tutto». Blanche sognante, smette di camminare su e giù. Fissa la madre che se ne sta seduta allo scrittoio, e attende che si decida a dare l’assenso affinché lei possa amare liberamente Jaques e sposarlo.
Ma nello studio il silenzio è marmoreo.
La madre la scruta enigmatica e non accenna a voler parlare. Nell’attesa Blanche  infila le dita tra i capelli biondi, ricci e vaporosi come una nuvola di farfalle. Le mani cominciano a tremare. Le nasconde dietro la schiena: non vuole che la madre se ne accorga.  Non riuscendo più a stare ferma,  batte i piedi sul pavimento provocando uno scricchiolio. Punta gli occhi verso il basso, la fronte imperlata, conosce quel mutismo foriero di tempesta. Madame Monnier spia i segni della malattia nervosa sul corpo della figlia – che da fanciulla aveva avuto episodi di schizofrenia – senza cedere al primo impulso che è quello di schiaffeggiarla. Blanche se ne accorge, conosce la padronanza della madre nel sotterrare i rancori per farli poi esplodere in modo implacabile.
Madre e figlia si sfidano per un attimo con lo sguardo. Blanche finge controllo di sé, ma la voce rotta la tradisce mentre con un sussurro sostiene.
«Jaques è meraviglioso!»
«Ora, basta!» sbuffa con tono aspro e imperante madame Monnier.
«Mamma, sono felice» e ha già lo sguardo azzurro in un lago di lacrime.
Sogghigna madame Monnier e Blanche non riesce più a sopportare la ruvidezza con cui la tratta. Perdendo il dominio di sé, a tutta forza afferma.
«Sono pazza d’amore, adesso è chiaro?»
Madame Monnier accigliata e spazientita, si alza dalla poltrona, fa il giro dello scrittoio, si avvicina alla figlia, puntandole il dito addosso.
«Non sei pazza d’amore. Blanche, tu sei solo pazza!», il riso sardonico, maligno.
L’affermazione risuona dolorosa in Blanche come cristalli rotti nel cervello. Sobbalza come trafitta da una lama di acciaio, le gira la testa e barcolla, cade a terra e, riversa, fissa un lembo nero dell’abito della madre che la osserva, a denti stretti e sprezzante le gira attorno, rimarcando con veemenza:
«Tu sei solo pazza!».
Blanche si tappa le orecchie e strepita.
«Jaques! Jaques!» e cerca di alzarsi.
«Tu! Quell’uomo non lo vedrai mai più! Alzati!» e ride rabbiosamente.
Attirato dalle urla, giunge Marcel a cui madame Monnier strizza l’occhio
«Aiuta tua sorella. Salvala!» perché madame Monnier ha le idee chiare, ha già deciso l’antidoto per il mal d’amore della figlia. Perché Blanche è pazza.
Marcel annuisce con gravità e prende di peso la sorella che continua a invocare Jaques.
Scalpita, si divincola dalla stretta , ma le braccia di Marcel la stringono forte come una tenaglia.
Madame Monnier, tranquillizzata, si rimette seduta allo scrittoio, sfoglia il giornale.
«Mac Mahon è un grande presidente» e si immerge nella lettura dell’articolo.
Passa qualche minuto e Marcel chiude con un colpo secco la porta della cantina, dopo aver scaraventato Blanche nel buio, nel nulla.
Proterva, non cade a terra, rimane in piedi e si ribella, battendo i pugni sulla porta.
«Apri! Ho paura!» i pugni iniziano a sanguinare, ma Marcel non torna indietro. Rimane attaccata alla porta in ascolto per ore, continuando a chiedere aiuto, a chiamare Jaques e a dare pugni.
Sente dei passi e riprende a urlare con più forza.
«Liberatemi!».
«Quando dimenticherai Jaques!» è la voce sardonica di madame Monnier.
«Mai» s’impunta Blanche.
«Bene, dunque non uscirai da qui, mai!» tuona la donna mentre i suoi passi si allontanano.
«Madre misericordiosa», la ragazza scoppia in una risata nevrotica e si accascia a terra, è stremata e impaurita.
La cantina è buia e fredda. Stringe le braccia intorno a sé, batte i denti, si acciambella. L’agitazione rimonta, si sente in pericolo. Ma non ha più fiato per chiedere aiuto. Sono ore che urla. Rotea gli occhi nel buio, rimane in ascolto. Non sente più niente, è come se tutti in casa fossero morti, intuisce che è notte. Nella tenebra, camminando carponi, si imbatte in un ostacolo, vi affonda con le mani è una coperta, c'è un materasso. Si distende e nell’oscurità vede il sole, il cielo, la libertà e mormora «Jaques» con il presentimento che non lo rivedrà mai più e si ribella «Nooo, non può essere. Uscirò da qui!». Si strappa i capelli, i vestiti, si contorce, scalcia, dà pugni e affonda il viso nel materasso di paglia, annegando in una notte senza sonno.
Al mattino, madame Monnier dietro la porta si sincera di nuovo.
«Sei pronta a uscire?».
«Sì! Voglio vedere Jaques!» e scoppia in un pianto dirotto.
«Lasciamola qui, a marcire» è la voce seccata di Marcel.
«Hai ragione» ha il tono risoluto madame Monnier.
«Mamma, aiutami, mamma, aiutami!» la supplica.
«Taci, sciagurata!» il calpestio dei passi dei due si allontana.
Blanche smette di piangere e ha un fremito di odio contro la madre.
«O dolce madre!» e fa una risata sinistra.
Subito dopo, altri passi: è Fanny, la cameriera, con il vassoio della colazione, che apre la porta guardinga e poggia il vassoio a terra. Blanche seduta sul materasso si illumina di speranza. Raggiunge l’uscio con un salto felino, ma dietro Fanny c’è Marcel che con violenza la trascina sul materasso, intimandole di non urlare più, di rassegnarsi e la picchia, fratturandole una costola.
«Non uscirai mai più da qui!».
Rimasta sola, a fatica si rialza e, con un colpo secco, rovescia il cibo a terra.
Si distende sul letto, come falciata.  Si arrovella. Devo scappare, devo scappare, devo scappare! Perlustra la stanza dall’atmosfera sinistra. C’è una finestra coperta da una pesante tenda color cremisi seppellita dalla polvere. Si accende di ottimismo posso scappare, ma subito si spegne: ci sono sbarre irremovibili che impediscono la fuga, da lì può entrare solo un filo di luce. Cade a faccia in giù e con sussurri ostinati invoca Jaques. Chiude gli occhi per vedere il cielo, il sole e Jaques, finché non cade esausta nel sonno tinto da incubi. Si sveglia di soprassalto, ha un’idea posso fare un buco nel muro! Si guarda intorno alla ricerca di un oggetto con cui poter scavare, ma non trova niente.
Non si arrende, alza le mani davanti al viso: userò le mani. Graffia con le unghie sulla parete: è umidissima e ha una crepa. Le unghie si spezzano, i polpastrelli sanguinano. Blanche suda, ma insiste fino a farsi male, fino a quando il dolore diventa insopportabile. Così dà un calcio al muro, ma questo non si sgretola affatto. Avanzano dei passi. Si rannicchia svelta sotto la coperta.  È Fanny con il vassoio della cena. Ha un altro piano in mente: chiedere la complicità della cameriera. Questa, però, riferisce subito madame Monnier le intenzioni della ragazza.
Blanche riconosce i passi di sua madre.
«Questa è la tua casa, nessuno può liberarti, perché devi capire che tu sei solo una pazza. Sei un castigo di Dio, non sei una figlia. Sei la causa del mio dolore».
Blanche piange, singhiozza, si morde le mani scorticate.
«Smettila di piangere, mi hai sentita?» con calma, voce gelida, volta le spalle per andarsene.
«Oh sì, ho sentito, madre dolorosa» la rabbia per la madre la divora.
Il giorno successivo, la ragazza si invola in un’ultima speranza: tenta di conquistare la complicità dell’altra cameriera, Marie, per fuggire, ma anche questa è devota a madame Monnier a cui fa il resoconto.
Per Blanche non c’è via di fuga, non c’è scampo neppure da Marcel che torna per picchiarla, giurandole di ucciderla.
Scorre il tempo come in un fiume agitato in cui si alternano disperazione, odio e rabbia.
I giorni e le notti sono sempre uguali, sempre più oscuri, nella tenebra.
Dopo l’iniziale rifiuto del cibo come arma di protesta, dei ricchi vassoi con i pasti comincia ad assaggiare poche briciole e il latte. Il suo elegante abito color malva, ornato di fiocchetti e fiori in raso, è sbrindellato. La folta capigliatura riccia si dirada e le cade appiccicosa sulle spalle.
E il sequestro non la turba più. Si adatta alla solitudine. Circondata dallo scaffale con i libri sempre più polverosi, seduta sul materasso popolato da formiche e da insetti, il mondo fuori da quello che ormai chiama “il mio piccolo buco” non esiste più.
Cammina senza sosta e parla da sola. Vive del ricordo di Jaques, dei baci di Jaques, del cielo, del sole, di quando era libera.
Calore e brividi si alternano lungo la schiena, caracolla a terra sente le gambe bagnate, indaga con le mani e poi si accarezza il viso con il suo stesso sangue. A tratti la coglie un’angoscia che la dilania e piange senza lacrime, divorate dalla tenebra.
Blanche non parla, è lontana, si estranea dal buco. Parla solo con Jaques, nella sua testa. Pensa al cielo, al sole, a Jaques per restare lucida. 
Le cameriere compaiono a inizio e a fine giornata con il ricco vassoio.
«Deve mangiare, sennò muore!».
«Io sono morta! Andate via dal mio buco» e lanciando pezzi di carne rancida. 

Marcel, sottoprefetto di Puget-Théniers, non lo vede più, si è sposato. I passi di madame Monnier sono diventati deboli con il passare del tempo, si avvicina alla porta senza dire niente, origlia ma non parla e lo stesso fa Blanche che trema di paura e d’indignazione.
I giorni si snodano come un gigantesco serpente che la stritola.
Rimane immobile per ore. Siede sul letto, a gambe incrociate, nell’oscurità del buco.
Blanche ormai è senza memoria. Blanche è nel nulla. Blanche non esiste. 

Dopo venticinque anni, nel 1901, la sua vista rimane accecata da un raggio di luce violento. Chiude istintivamente gli occhi, abbagliati fino a farle male e il suo cuore sussulta: la porta chiusa con pesanti catene si spalanca rischiarando la tenebra. Apre gli occhi: sono assenti e scavati. La faccia incisa da rughe profonde. Ha pochi denti, consumati dal tempo e dalla sporcizia. Scheletrica. Senza parlare, guarda gli intrusi. Balbetta qualcosa. Fa loro un cenno con la mano di andar via. Quelli avanzano.  
Blanche terrorizzata si nasconde sotto la lurida coperta.
I gendarmi si tappano il naso per il lezzo soffocante di escrementi, frammenti di carne, verdure, pesce e pane marcio.
Il più giovane in un conato di vomito esclama: «L’orrore! L’orrore!» e scappa via.

(Ispirato alla storia vera di Blanche Monnier)

© Un racconto di Maria Franzè - Illustrato da Gabriele Merlino - Editing di Chiara Bianchi


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