Ma i colpi alla porta... | Racconti Indigeribili

Ma i colpi alla porta... | Racconti Indigeribili

Scritto da Adele Murino-
- Illustrato da da Margherita Piovani


Ma i colpi alla porta...

«57.392 milioni di Lire. È quanto mi dovete, Conte». Quella voce bassa, cupa, dal tono perentorio l’aveva svegliato. Era seduto al centro di un letto decrepito a baldacchino che sembrava dovesse crollargli addosso da un momento all’altro. Aveva il viso madido di un sudore gelato e gli tremavano leggermente le mani. Nella penombra riconobbe la sua camera e, istintivamente, guardò verso il pesante tendaggio di broccato scuro che nascondeva la finestra alla sinistra del letto. Aveva la camicia da notte semiaperta sul petto. Il suo respiro affaticato, nervoso, agitato gli procurava delle fitte dolorose alla bocca dello stomaco. Si svegliava nel cuore della notte. La sua mente vacillava, prossima al tracollo. Aveva accumulato troppi debiti e non sapeva più come onorarli, se non elemosinando in giro altri prestiti che non avrebbero fatto altro che aumentare la somma dovuta. Quello che, sulle prime, considerava solo un innocuo passatempo, si era trasformato piano piano in un impegno e diventava sempre più un’occupazione indispensabile. Preda del demone del gioco, non riusciva a dedicarsi ad altro. Un insetto si accaniva intorno al suo capo, lo scacciò con una mano e quel piccolo movimento lo fece vacillare. Si aggrappò alle lenzuola come un naufrago alla scialuppa e artigliò la stoffa con le dita ossute. Nella stanza c’era nascosto qualcuno, lì, dietro la tenda, e anche se non riusciva a distinguerne la sagoma, sapeva chi era. Il barone D’Angiò il suo creditore, venuto a riscuotere il dovuto. Ma chi gli aveva aperto la porta? Lui viveva da solo, oramai anche l’ultimo dei suoi servitori lo aveva abbandonato da tempo. All’improvviso udì dei colpi alla porta che gli fecero letteralmente schizzare il cuore in gola.

Bum, bum, bum

Si era sbagliato, il barone D’Angiò non era nascosto dietro la tenda ma era alla porta di casa. Non doveva aprirgli, pensò tra sé. Bastava lasciarlo lì fuori tutta la notte. Si sarebbe stancato e se ne sarebbe tornato a casa sua. Un ghigno cattivo gli si allargò sul viso. Era al sicuro se fosse rimasto chiuso nella sua stanza. Gli parve di udire, molto lontano, i rintocchi di campana di una chiesa ma non riuscì a distinguerne il numero, sapeva però che doveva essere notte fonda. Era un maleducato il barone D’Angiò a venire a bussare a quell’ora alla sua porta. Era pur vero che si erano lasciati in malo modo quella sera e forse era venuto per un chiarimento. La loro antica amicizia si era piano piano incrinata per alcuni fraintendimenti, lasciando il posto, prima, a un muto rancore reciproco e poi, da ultimo, a una stanca indifferenza. Erano stati compagni inseparabili per lunghissimi anni e quel solido legame faceva invidia a molti ma poi qualcosa li aveva fatti allontanare. Si incontravano solo ogni tanto al tavolo da gioco e, una delle ultime volte, erano stati sul punto di litigare furiosamente perché il barone D’Angiò pretendeva da lui il pagamento di tutti i suoi debiti di gioco in una volta sola. A quel pensiero, il suo cuore aveva ripreso a battere furiosamente e le pareti di quella stanza, ricoperte di legno scuro e tarlato in più punti, sembravano incombere su di lui, facendolo soffocare. Non aveva più un amico, anzi, era circondato da nemici che, a poco a poco, gli stavano succhiando l’anima senza alcuno scrupolo. Quelle stanze  sapevano di muffa e di cera di candela.

Bum, bum, bum

Ancora, più forte. Gli giunsero alle orecchie i colpi sferrati alla porta di casa e quel rumore lo fece sobbalzare nel letto. Stavolta gli si arrestò il respiro. Le gocce di sudore ghiacciato scorrevano lungo la schiena mentre il terrore lo paralizzava. La vista gli si era annebbiata e non aveva neanche più la forza di battere le palpebre. Era circondato da ombre che si ammassavano nella stanza e non c’era nessuno pronto a difenderlo. Dov’erano adesso i suoi figli? Ingrati lo avevano abbandonato pure loro. Ognuno aveva preso la sua strada, in giro per il mondo in cerca di fortuna. E ora? Ora che lui aveva bisogno? Non sapeva nemmeno dove andarli a cercare. Che sorte grama gli era toccata! Eppure si ricordava di averli amati un tempo. Quando avevano bisogno di lui ed erano spaventati gli si aggrappavano ai pantaloni. Anche lui, adesso, era spaventato ma non c’era nessuno a proteggerlo. Anche davanti alla morte si sarebbe ritrovato solo. Quel pensiero lo annientò e in lui affiorò una sorta di rassegnazione. Il suo corpo avviluppato in una rete inestricabile che gli impediva ogni movimento, i pensieri si andavano ingarbugliando sempre di più. Stava sprofondando in un abisso senza fondo e sentiva che si stava lasciando andare senza reagire. Cos’altro poteva fare? Ancora tra le lenzuola, avvolto come in un sudario. Le palpebre pesanti caddero sugli occhi stanchi e spenti. Voleva solo dormire e lasciarsi alle spalle quel mondo ostile che gli procurava ansia e tormento. Mentre scivolava nel baratro, confidando di raggiungere presto l’analgesia del corpo e della mente,  qualcosa glielo impediva. Quei colpi, ritmici, cupi, sempre più forti, quei colpi alla porta...

 
© Un racconto di Adele Murino - Illustrato da Margherita Piovani - Editing di Chiara Bianchi


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