Condomino delle ginestre | Racconti Indigeribili

Condomino delle ginestre | Racconti Indigeribili

Scritto da Pasquale Sbrizzi
 - Illustrato da Emma Cusinato -


Condominio delle ginestre

Da quando il noto politico neofascista Amilcare Del Pisano si era trasferito al Condominio delle Ginestre, il bucolico complesso di appartamenti nell’entroterra semirurale partenopeo aveva iniziato a puzzare come una carcassa sotto il sole di agosto e gran parte degli inquilini, purtroppo, ne aveva accusato le conseguenze.

Uno di questi, Jonathan K. Leighton (pseudonimo tratto da una libera anglicizzazione di “Castrese Gargiulo”), esteta sessantottino e autore di un unico, ampolloso romanzo di formazione annichilito dalla critica specializzata, aveva già tentato il suicidio due volte dallo sventurato giorno dell’agnizione del miasma: a detta sua, quel puzzo nauseabondo era lesivo per la sua concentrazione e per la sua creatività, entrambi elementi di vitale importanza per uno scrittore quanto l’ossigeno. In realtà, il fetore non aveva intaccato minimamente il suo estro artistico, di per sé, a detta di molti, parecchio superfluo alle necessità del genere umano. Leighton, infatti, era solamente disperato per l’incapacità di espletare il coito con le numerose prostitute che, di solito, ospitava a casa sua: queste ultime, infatti, recependo l’acre olezzo che si era diffuso nel Condominio delle Ginestre, non volevano più trattenersi lì e quindi, sempre più spesso, avevano iniziato ad abbandonare il povero Jonathan alle magre consolazioni di onanismi frustrati.

L’anziana donna Carmela Saponara, figura spettrale dedita a passeggiate notturne per i corridoi del palazzo con l’immancabile sacca per la raccolta dell’urina incollata alla coscia raggrinzita, era stata persino vittima di un rovinoso incidente: aveva vomitato sulla moquette dell’atrio a causa del tanfo stomachevole e, con un tragico scivolone sulla pozza viscosa generata dal suo stesso sforzo emetico, ci aveva anche rimesso un femore e un’ulna.

Ma c’era anche chi, per vicissitudini della vita d’un tratto tramutatesi in benedizioni, non era stato per nulla toccato dall’odore rivoltante che ghermiva il condominio: Salvatore Capuozzo, ad esempio, era un tossicodipendente navigato che, in seguito a un’esistenza consacrata alla cocaina d’infima qualità, aveva detto da anni addio al suo naso. Con i recettori olfattivi putrefatti e un pertugio triangolare da morto vivente al posto della cartilagine nasale, il signor Capuozzo non sarebbe stato in grado di distinguere il profumo del pane appena sfornato dal terrificante puzzo delle gambe in cancrena di suo padre invalido, quel ritratto inerte di agonia che, paralizzato in un letto super-rinforzato dai suoi centonovantaquattro chili, cardiopatie assortite, demenza senile e diabete mellito, Salvatore parassitava ormai da anni, dilapidandone i sussidi statali e i risparmi di una vita di lavoro per alcol, stupefacenti e slot-machine.

Comunque, malgrado l’avvento del miasma fosse palesemente ascrivibile al trasloco di Amilcare Del Pisano, quasi nessuno tra i succitati condomini, forse per l’omertoso timore di eventuali rappresaglie da parte dei suoi amici picchiatori dal cranio rasato, lo aveva accusato formalmente di esserne la causa: soltanto il ragionier Pierluigi Scamardella, padre di due figlie emigrate in Australia e vedovo arteriosclerotico dal cipiglio bellicoso, dopo varie minacce correlate da bastone da passeggio impugnato a guisa di cacciatore boscimano con una zagaglia, si era rivolto alle forze dell’ordine, accusando il nuovo inquilino mussoliniano di occultare cadaveri all’interno del suo appartamento, e paragonandolo, senza mezzi termini, a Jeffrey Dahmer, il celebre omicida seriale americano. Le autorità, tuttavia, dopo un’attenta riflessione abbreviata da una cospicua mazzetta, avevano deciso di limitarsi a “raccogliere la segnalazione” e a non intervenire sul posto: non erano disposti a perdere tempo con dei mentecatti scampati al TSO che tentavano di infangare la reputazione di brave persone come il “buon vecchio Amilcarone”. Del Pisano, per tutta risposta, aveva tacciato l’accusa del ragionier Scamardella come “il ciarlare delirante di un cospiratore neobolscevico al soldo del giudaismo internazionale” e “la mefistofelica insinuazione di un subdolo nemico del glorioso popolo di Cesare e di Augusto”: l’unico fetore che percepivano abitualmente le sue narici, affermava il camerata, proveniva piuttosto dall’appartamento dei Cheng, una famiglia molto numerosa di immigrati cinesi che, secondo l’immensa conoscenza in merito alle culture culinarie estremorientali del politicante neofascista, citando parola per parola il suo eloquio trofico da cinegiornale Luce, era “avvezza alla consumazione, tipica della scellerata gastronomia comunista, di repellenti brodaglie a base di feti abortiti, scarafaggi, pantegane e liquami di scolo fognario”.

Nonostante ciò, sebbene non lasciasse trasparire alcuna emozione autentica, il semplice paragone con Jeffrey Dahmer, notoriamente omosessuale, era bastato a ferire un po’ l’orgoglio virile di Del Pisano: da esemplare di vero maschio italico quale si riteneva, infatti, reputava intollerabile essere accostato a un ricchione come lui. Poi, certo, esattamente come il serial killer statunitense, ammazzava soprattutto i neri e i figli di immigrati e, proprio come Dahmer, ne conservava i resti in casa e nel solaio in grossi barili di acido, dove, immersi nella soluzione corrosiva, si liquefacevano lentamente.

Ma, di sicuro, lui un ricchione non era.

Quello no: era roba da pervertiti.


© Un racconto di Pasquale Sbrizzi - Illustrato da Emma Cusinato - Editing di Chiara Bianchi


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