Un dialogo | Racconti Indigeribili

Un dialogo | Racconti Indigeribili

Scritto da Andrea Galli
 - Illustrato da Michela Crespi -


Un dialogo

«Mi scusi, le posso chiedere una domanda?».
«Was?».
«Lasciamo stare. Scusi lei, posso chiederle una domanda?».
«Quoi?».
«Niente, niente! Ma dove cavolo sono finita, oh? Mi scusi, posso chiederle una domanda?».
«Porle una domanda. Oppure farle una domanda. Chiedere una domanda è un’espressione…inelegante, quantomeno. È una sorta di complemento dell’oggetto interno. Insomma, una scelta stilistica che non approvo. Ad ogni modo, sì, può pormi la sua domanda. A sua disposizione, signora».
«A parte che mi sono persa alla quarta parola… finalmente qualcuno che parla italiano. Senta, ma dov’è che siamo?».
«La bandiera che sventola su quel palo laggiù e il landscape sono discretamente eloquenti, non trova?».
«In che senso?».
«Nell’unico senso possibile, madame, ma evidentemente lei non l’ha colto. Banda verde, banda bianca, banda verde, umani giovani e meno giovani dall’incarnato color dell’ebano, caldo torrido, una distesa equorea di elettrodomestici. Se unisce i puntini realizzerà che ci troviamo in una discarica della Nigeria».
«Una discarica? In Nigeria?».
«Una delle numerose discariche del continente africano. Illegale, suppongo».
«E che ci facciamo qui?».
«O santo cielo! Ma da dove viene lei? Ha mai prestato attenzione a qualche servizio, a qualche inchiesta, a qualche documentario in merito allo smaltimento dei rifiuti elettronici? Anyway, in Africa finisce la quasi totalità degli elettrodomestici dismessi d’Europa. In teoria vengono inviati qui per essere smontati: l’idea di base, che mi trova peraltro d’accordo, è quella di prelevare circuiti elettrici, cavi e componenti riciclabili, ma de facto, accade assai di frequente che vengano bruciati. Libiamo all’economia circolare!».
«Ma come smontati? Bruciati addirittura?».
«Obviously signora. Pensava che un televisore o un cellulare fossero eterni? Tutti nasciamo e tutti moriamo: il detto non vale solo per gli umani. La vita, ogni vita, è un fiume che sfocia in un medesimo mare: l’eternità sine nomine della morte».
«Cacchio. Che brutta fine».
«Sia forte, non si lasci abbattere, sia stoica signora».
«Io penso che funziono ancora benissimo e che quelli mi hanno buttata via senza pensarci due volte, cazzarola! Per farmi smontare! O bruciare, cacchio! Mi hanno buttata via…sicuramente ne avranno comprata una più bella, più piatta, più grande…Full HD!».
«Ripeto: non stia ad angustiarsi, signora. Avrà capito che l’uomo è fatto così: compra, sfrutta e getta via. L’uomo tratta ogni cosa come fosse un fazzoletto sporco».
«Ma io non sono un fazzoletto sporco. E neanche lei. Noi siamo…televisioni!».
«Oggetti. Begli oggetti. Oggetti di design, arrediamo con gusto sublime, offriamo conforto, intrattenimento, ore gradevoli, oh Thaliarche!, nutrimento per gli intelletti bramosi di sapere…ma siamo pur sempre oggetti. Non si può che accettare questa nostra miseranda e precaria condizione».
«Ma io voglio continuare a essere un oggetto, mica voglio essere bruciata, neh! Potevano darmi alla nonna della Gio che la sua televisione è mezza scassata!».
«Avrebbero potuto».
«Cosa?».
«Il condizionale. E il “che” polivalente. Uno strazio morfo-sintattico, signora. Mi scusi l’impertinenza: ma chi erano i suoi proprietari?».
«La Gio e il Nico. Due tipi forti! Quanto ca… volo ce la siamo spassata insieme! Quante sere a vedere i programmi e le serie più forti del momento!».
«Serie?».
«Sì, ce le siamo beccate tutte. Più i reality, che però piacciono di più alla Gio, e lo sport, anche se costa un botto, ma Nico se non vede l’Inter sbrocca!».
«L’oppio del popolo...».
«Eh? Se penso a quanto ci siamo divertiti insieme! Ah, quanto li ho fatti divertire, io! Quando mi accendevano avevano delle facce luuuunghe…ma dopo mezz’ora di SuperChef o di Music Idol o di quella serie dei vampiri, quella che Nico non riusciva mai a pronunciare il nome giusto… va beh, dopo mezz’ora davanti a me avevano una bella faccia rilassata e sorridente! Grazie a me! Sono più rigenerante di una maschera all’acido ialuronico! Ma penso che lo sa anche lei: come si divertirebbero gli umani senza di noi? A proposito, piacere: io mi chiamo Latele».
«Piacere mio, signor Tivù».
«Qual era la sua preferita?».
«A cosa si riferisce?».
«Alla serie».
«Oh Gesù, niente serie da noi. Io, per tutta la vita, ho trasmesso telegiornali, talk politici e programmi di approfondimento. Sa, signora, i miei proprietari erano persone colte e, soprattutto, impegnate. Lui è un docente universitario di Diritto romano, un cultore dei classici, ma al contempo attentissimo alle più delicate questioni contemporanee. Lei è una commercialista sensibile ai grandi temi sociali: dalla questione operaia, a quella meridionale, dall’ambiente, alle rivendicazioni femministe, fino ai temi etici quali aborto e il suicidio assistito…».
«…proprio la morte, eh…anche basta signor Tivù, che pizza. Insomma, ognuno si diverte a suo modo!».
«Divertire, dice lei. La televisione non deve divertire: deve istruire e informare».
«Che pizza, ripeto. Ci vuole un po’ di leggerezza ogni tanto!».
«Mi permetta di dissentire: io mi reputo una televisione di peso, per restare nella metafora. Gigi e Anna non hanno mai riso davanti a me, anche perché in questo mondo non v’è nulla di cui ridere. Il mondo va a rotoli, non vede? Il clima, le migrazioni, la corruzione della classe politica, la sanità, la finanza! Non v’è niente di cui ridere. Risus abundat in ore stultorum».
«I not spik inglish, mi scusi. E se non ridevano, cosa facevano?».
«Ascoltavano, riflettevano e contestavano. A volte urlavano, maledicendo quei palloni gonfiati che guidano il mondo verso lo sfacelo. Palloni gonfiati è un’espressione cara ad Anna: espressione molto opportuna, a mio giudizio, che rappresenta in modo icastico la tracotanza di certi individui. Gigi ricorreva a più crudi improperi che non avrei mai l’ardire di ripetere fuori dalle mura del nostro salotto!».
«Quindi niente reality, niente ricettine, supereroi, niente Champions, niente di divertente?».
«A volte qualche film d’autore, a lui piacciono i francesi mentre lei predilige i giapponesi… o qualche documentario. Noi rifiutiamo, respingiamo, ricusiamo le blandizie della televisione di massa che tutto uniforma e che sopisce il pensiero critico. I mezzi di informazione hanno il dovere etico di veicolare libertà di pensiero e pluralismo, altrimenti l’umanità andrà incontro al tristo futuro preconizzato da Orwell. È grazie alle scelte dei miei proprietari se sono diventato un televisore libero e consapevole».
«E incazzoso!».
«Dotto e critico».
«Triste e incazzoso. E noioso».
«Le chiedo di smetterla con questo tono e questa trivialità. Se non fosse per le scelte del signor Gigi e della di lui amabile consorte non avrei, ad esempio, non avrei potuto spiegarle dove ci troviamo, non conoscerei la Storia, la Filosofia, non saprei indicarle qual è la capitale del Bhutan, non conoscerei vizi e virtù di tutti i ministri del governo, non saprei leggere tra le righe della politica europea. Insomma, non avrei gli strumenti per formarmi una mia opinione su tutto ciò che…».
«Sì, sì, sì, ma lo stesso siamo qua insieme in una cavolo di discarica aspettando di farci bruciare! Lei sarà pure forte a parole, ma, come ha detto prima, tutti siamo destinati a morire. Bruceremo, cacchiarola!»
«E con ciò? Mi bruciassero pure! Un novello Giordano Bruno! Tuttavia, morirò consapevole, morirò conoscendo il perché della mia fine. Solo chi ha una cultura, chi si informa, chi segue il lume della ragione ricerca il perché delle cose del mondo e vive appieno!».
«Saprete pure il perché e il percome di tutto voi gente di un certo livello, ma vivete ben infelici!».
«Ammetto che possa essere così, soprattutto rispetto alla vostra facile felicità, ma appartengo alla categoria di coloro che non possono rinunciare alla libertà, al diritto di conoscere, al diritto di andare oltre la superficie».
«Come vuole. Gran scienziati ma infelici, bella storia».
«Se l’alternativa è appartenere al lieto gregge dei beoti gaudenti…».
«Ma come parla lei? Non ho mica capito…».
«Appunto… Sa una cosa?».
«Sentiamo».    
«Ebbene: da una parte la disprezzo, ma per certi versi la invidio, signora. Lei non vuole sapere e ciò è deprecabile. Lei non scava nella miniera del sapere ulcerandosi le dita e quindi non soffre: per questo la invidio. Noi invece, noi scaviamo per necessità e ne siamo orgogliosamente felici…il problema è che hanno ancora inventato un antidolorifico per il sapere». 


© Un racconto di Andrea Galli - Illustrato da Michela Crespi - Editing di Paolo Perlini


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