Scritto da Ignazio Salvatore Basile
Illustrato da Andrea Caligaris
Lo zio Serghiej
Ci pensò mio zio materno ad aprirmi gli occhi sul mondo. Si chiamava Sebastiano ma tutti lo chiamavano Serghiej. Anzi, Compagno Serghiej, per la precisione. Era nato nel 1929 e quel soprannome glielo avevano affibbiato dopo il ’43, quando si era presentato dal capo dei partigiani di Monte Linas, dove si era formato un nucleo della resistenza antifascista alla macchia, per arruolarsi come combattente volontario. Mio zio venne scartato a cagione della giovane età ma, visto il suo entusiasmo e la faccia da duro e puro che aveva messo su, nonostante i suoi poveri quattordici anni, gli chiesero se per caso se la fosse sentita di fare la staffetta. All’inizio Sebastiano rifiutò, alquanto offeso che lo si volesse adibire a mansioni cui erano destinate le donne, seppure considerate tra le più coraggiose del paese; infine accettò quando suo fratello, di sette anni più grande e già arruolato nelle fila dei partigiani, gli disse che avrebbe potuto utilizzare la sua moto Guzzi 500, guidata di nascosto e che più di una surra da parte del fratello – preoccupato per la sua incolumità, più che per la motocicletta – gli aveva procurato.
Zio Sebastiano era di quelli che ai battesimi, ai matrimoni e ai funerali non entrava mai in chiesa ma aspettava fuori, fumando le sue Nazionali senza filtro e bestemmiando contro il governo e contro i preti. E quando qualcuno gli chiedeva per quale motivo aspettasse fuori, perfino quando la moglie era impegnata nel Sacramento del Battesimo e sua figlia in quello del Matrimonio, rispondeva, masticando amaro, che a lui lo avevano portato in chiesa contro la sua volontà il giorno del battesimo e ce lo avrebbero portato, sempre contro la sua volontà, soltanto una seconda e ultima volta. Fu lui che mi illuminò sul fatto che i veri fannulloni erano gli appartenenti al Clero; tutti, senza distinzione, dall’ultimo prete di campagna sino al papa di Roma che, oltretutto, si dava tante arie, con quei suoi abiti sontuosi, e non aveva neppure uno straccio di divisione a difenderlo, ma soltanto un manipolo di Guardie Svizzere, buone soltanto per il Carnevale e per qualche opera teatrale, come la Breccia di Porta Pia, un secolo prima, o giù di lì, aveva inconfutabilmente dimostrato, una volta per tutte.
«D’altronde cosa fanno, dalla mattina alla sera, preti, suore e cardinali?», mi chiedeva con la faccia arrabbiata. Era una domanda retorica e, infatti, non aspettava neppure che io rispondessi (se mai ne avessi avuto voglia di farlo).
«Te lo dico io cosa fanno! Imbrogliano le vecchiette illetterate e i bigotti democristiani che vanno in chiesa per ignoranza e per convenienza! È così che perpetuano il loro potere, caro nipote! Ma, a me, quell’oppio non me lo fanno inalare di sicuro; pertanto, tu studia se non vuoi essere gabbato dalle sottane con odore di incenso; e coltiva sempre le buone letture!».
Così dicendo, sbatacchiava il quotidiano “L’Unità”, portato sempre sotto il braccio, dal quale attingeva messaggi salvifici. Ai miei occhi, in quei frangenti, appariva come un dispensatore di verità, capace di sbugiardare quei fannulloni perdigiorno.
«E poi, basta guardare le loro mani, come son lisce e ben curate! Io li manderei tutti a zappare, quei venditori di fumo! Almeno così contribuirebbero alla produzione nazionale e si guadagnerebbero il pane che mangiano!», e mostrava le sue mani ruvide e callose, invecchiate precocemente dal duro lavoro nelle miniere di Monteponi e Montevecchio.
Queste rivelazioni concordavano, in tutto e per tutto, con quanto andavo apprendendo a scuola a proposito dei nobili cicisbei prima della Rivoluzione francese, che si rifiutavano di sporcarsi le mani e vivevano sulle spalle dei poveri lavoratori. Dopo l’apertura di questo squarcio di verità sui misteri della vita, mi sentivo più grande e più forte. Finalmente, anche io avevo dei nemici reali da fronteggiare, non dei misteriosi e non meglio identificati lavapaddi, ma un intero battaglione di nemici in tonaca armati di ostensorio, crocifisso e turibolo, il quale mi parve più simile alla fionda con cui Davide aveva abbattuto il gigante Golia, piuttosto che a un profumiere d’incenso.
Il futuro mi appariva meno oscuro e incerto di prima, adesso che sapevo.
© Illustrazione di Andrea Caligaris | Racconto di Ignazio Salvatore Basile | Editing di Chiara Bianchi
Lo zio Serghiej | Racconto | Indigeribili
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