© illustrazione di Francesca Caruso
Sono uno scarto.
“Polvere tu sei e polvere ritornerai” mi è stato detto, ma io non sono mai stata polvere.
Ero un osso, una costola precisamente, sono lo scarto della polvere.
Estratta con l’inganno da un corpo che ha continuato a vivere senza di me, senza problemi.
Sono la motivazione per cui l’umanità intera ha conosciuto la morte e il lavoro e la sofferenza e la sottomissione.
Ma non è mia la colpa, sono esattamente come mi hanno creata.
Sono la creatura che gli corrisponde, la più simile a lui su questa terra.
Sono quella che si merita.
Mi sono fatta prendere in giro per un po’, mi sono lasciata ingannare, ma le sue parole sembravano così reali, così vere.
Colavano come caldo miele giù per la mia gola ed io inghiottivo, tutto.
Sembrava che in ogni lettera ci fosse tutto l’amore che in realtà non è in grado di provare, non per gli altri, non per me. Ed io ero la sua donna, l’unica, l’ho creduto per un po’.
Di sicuro la più ingenua.
“È ossa delle mie ossa, carne della mia carne.”
Questo ero per lui.
Una frase che ho amato per tanto tempo, una cantilena che giorno dopo giorno ha corroso lo spessore della mia sopportazione, assottigliandolo a tal punto da permettermi di guardarci attraverso e riconoscerne la natura, fallata.
La sua devozione, la sua falsa devozione, la mancanza di attenzioni, l’insofferenza hanno svelato poco a poco la sua vera natura e la realtà dei fatti.
Qui tutti vociferavano alle mie spalle, all’inizio l’amore mi rese cieca e sorda ed ignorai ostinatamente ogni dettaglio di quelle voci stridule che tentavano di distruggere la mia bolla di felicità.
Storie che parlavano di un passato del quale non ero al corrente e che mi era stato celato volontariamente.
L’amore mi rese cieca e sorda, certo, ma non stupida.
Scoprii che c’era stata un'altra prima di me, plasmata come lui dalla polvere, sua compagna, sua pari.
Il dolore di quel tradimento estirpò tutto l’amore che avevo in cuore, la consapevolezza di essere “l’altra” mi straziò a tal punto da istigare in me un sentimento del tutto nuovo, che vide la luce con me, in quello stesso istante: l’ira.
Ero stata incastrata in una porzione di puzzle non mia, per la quale ero stata creata e forzata.
Lui non mi aveva mai voluta, non me, non davvero.
Desiderava solo qualcuno da dominare e non erano sufficienti le piante e gli animali in terra e gli uccelli del cielo, sottomettere loro non era abbastanza.
Ero stata creata per soddisfare un mero capriccio, perché Lei, la prima Lei, se n’era andata, stanca di soprusi e di capricci e del desiderio di sottomissione di un uomo incapace di provare amore se non per se stesso.
Dicono che adesso Lei sia diventata un demone ma io so che non è così, ha semplicemente lottato, dimostrando un coraggio e una forza d’animo che tutti noi altri non avremo mai.
Adesso è una donna libera, ma non io.
E dovevo essere soggiogata a lui a tal punto che la mia creazione non poteva avvenire dalla polvere.
Non come lui o Lei, non come tutte le altre bestie del mondo, ma meno di loro.
Persino la mia esistenza doveva essere dipendente dalla sua esistenza e la mia carne dipendere dalla sua carne: “È ossa delle mie ossa, carne della mia carne.”
Ho imparato ad odiare ogni singolo suono del vessillo della mia sottomissione a lui e l’odio, si sa, genera molto frutto.
Vi svelerò un segreto, una cosa che non ho mai detto a nessuno: il serpente, l’ingannatore, non esiste.
Io sono il serpente.
Nessuno mi ha ingannata ma io ho ingannato tutti quanti.
Decisi che vivere un’eternità accanto a lui nel paradiso terrestre, non avrebbe voluto dire vivere davvero.
Decisi che se Lei era riuscita a fuggire, allora avrei potuto farlo anche io.
Decisi che piuttosto che vivere con lui per sempre, avrei preferito la dannazione eterna.
E così è stato.
Lo sedussi quel giorno e lasciai che mi possedesse sottomettendomi, esattamente come desiderava.
E quando fu tanto ebbro del suo vigoroso potere da non capirci più niente, gli diedi dell’albero e lui ne mangiò, ne mangiammo entrambi.
Quando tornò in sé, quando i suoi occhi si spalancarono e conobbe di essere nudo, quando comprese cosa aveva fatto, cosa per mia colpa aveva fatto, era troppo tardi.
La punizione per la nostra disobbedienza non si fece attendere.
“Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?”
“La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato.”
La donna che tu mi hai posto accanto… Non ero più carne della sua carne, ma carne da macello sacrificabile pur di salvare la propria pelle.
Non più ossa delle sue ossa, ma capro espiatorio su cui scaricare colpe che non aveva abbastanza coraggio da ammettere.
Il vigoroso uomo pavoneggiatosi poco prima era ormai disperso, disciolto come neve al sole in una codardia che non gli avrebbe evitato alcuna punizione, dinnanzi agli occhi di Dio si presentò solo un bimbo colpevole e spaventato.
Tutto questo mi fece ridere, e quando il Signore Dio chiese a me: “Che hai fatto?” Io non seppi cosa rispondere.
Mi aveva ingannata, certo, ma era pur sempre il mio creatore ed era stato buono con me.
La sua unica colpa era stata dare corda ad un folle, ma lo aveva fatto per amore e da quell’atto d’amore ero stata plasmata.
Sapevo che la verità gli avrebbe spezzato il cuore e non me la sentii di confessare.
“Il serpente mi ha ingannata ed io ho mangiato” mentii, vedendo un serpente avvinghiato ai rami dell’Albero, colta da un improvviso momento di genialità.
Anche lui fu condannato, la serpe divenne vittima involontaria del mio buon cuore e di questo me ne pento, ma non del resto.
Ogni frase, ogni parola, ogni suono uscito dalle labbra di Dio colpì Adamo in volto con la violenza di una sferzata.
Più Dio rincarava la dose più il volto del capostipite dell’umanità si faceva paonazzo e traboccante d’ira. Anche lui, quel giorno, ne imparò il valore, e più la sua ira montava più il sorriso sul mio viso si allargava, centimetro dopo centimetro.
Sapeva che era tutta colpa mia, sapeva che la sua cacciata dall’Eden era avvenuta per un mio atto di volontà, per scelta di un essere considerato inferiore a lui, e questo lo rendeva furente più del fatto stesso di abbandonare il suo piccolo paradiso.
Non disse niente a Dio, mi piace pensare che si vergognò a tal punto di essere stato raggirato ancora da una donna, che decise di tacere.
Per quanto riguarda me non sentii neanche le punizioni che mi erano state riservate.
La condanna di Adamo mi rese felice a tal punto da rendermi sorda al dolore fino alla fine della mia vita.
Fummo scacciati dall’Eden e una volta fuori subii ancora per molto tempo le angherie di Adamo, accolsi il suo seme nel mio ventre e generai la sua stirpe ma mai, mai più da quella volta in paradiso mi feci dominare.
La mia piccola menzogna mi donò un tipo di libertà della quale nessuno mai avrebbe più potuto privarmi e, finalmente, fui libera.
Scritto da Nadia Caruso
Illustrato da Francesca Caruso
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