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Ci sono giorni in cui si ha solo bisogno di fuggire. Non importa in quale porzione della settimana ci si trovi, quanto sia lontano il weekend o le ferie.
In giorni come questi ci vogliono spuntini consolatori, che distraggano dalla propria personale fatica.
Concediamoci dunque questa piccola evasione con 52 49, di Jacopo Zonca, che abbandona momentaneamente gli strumenti della recitazione per approcciarsi a quelli della scrittura.
In un rapido giro di pagine si svolgeranno pochi avvenimenti significativi, sufficienti a ribaltare una situazione che non sembrava avere alcun motivo di variare.
Iniziamo a mordere questo spuntino: i riferimenti e le influenze sono piuttosto chiare, al limite della citazione, David Foster Wallace primo fra tutti. Di recente ho avuto modo di ribadirlo, non sono una fan dei tributi, anzi, sono puntigliosamente insopportabile a riguardo. Mi piace intuire legami e suggestioni ma voglio che restino un sottofondo sussurrato e impalpabile, che mi lascino con il dubbio. D’altra parte in questo caso è evidente un genuino rispetto e ammirazione verso chi si sta citando. Le intenzioni sono così palesi e sincere che è impossibile non provare una certa tenerezza ed empatia, ritrovandosi nell’autore che, anche nelle sue stesse pagine, si pone come fervente lettore.
Caratteristica fondamentale di questo snack è proprio la sensazione di dialogo con l’autore.
Lo stile è essenziale, molto diretto e colloquiale e, per quanto mi riguarda, generalmente non è la forma che preferisco. Tuttavia, oltrepassando anche la vicenda stessa, il libro riesce ad aprire uno spiraglio di comunicazione tra scrittore e lettore. Forse per la semplicità dello stile e la linearità degli eventi o per la sincerità nel lasciar trasparire i propri gusti in modo molto spontaneo, non ci si rapporta direttamente con il protagonista durante la lettura, quanto con l’autore, incuriosendosi sulle motivazioni e le necessità dietro quest’espressione in forma cartacea.
Si ha inoltre una sensazione marcata in una determinata parte del libro, che risulta più vera e meno ordita, meno “recitata”, a riprova di una capacità nel riportare aspetti personali e dettagli presi in prestito dalla vita reale in maniera decisamente più intensa ed efficace. Ma non vi dico quale parte è altrimenti non c’è gusto. E potrei pur sempre divertirmi a seguire le mie allucinazioni.
In conclusione, sono presenti qualche difetto e ingenuità, giustificati dallo stile in formazione che ci si aspetta di incontrare in un esordio.
A parte questo ciò che rende valida la lettura è una certa purezza d’intenti, una necessità di scrivere per nulla dissimulata né esageratamente sovraesposta ma mostrata con trasparenza e sincerità. Forse è una componente più semplice da identificare in un autore con meno esperienza ma è indubbiamente un valore molto prezioso per uno scrittore. Non è affatto scontato che la sua voce riesca ad emergere e non è l’esperienza a garantirne l’apparizione, anzi, nel tempo potrebbe rappresentare un ostacolo. Per questo è importante che sia chiaramente udibile fin dal principio.
Per cui a CrunchEd continueremo a seguire con impaziente appetito ed entusiasmo il percorso di questa voce, che nasce con questa dichiarazione d’amore alla scrittura.
52 49
Jacopo Zonca
Editore: Epika (12 febbraio 2018)
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© Parole e immagini di Ombretta Blasucci