Tredici storie e tredici epitaffi | William T. Vollmann

Tredici storie e tredici epitaffi | William T. Vollmann

La forza assoluta di raccontare il decadimento dell’occidente attraverso storie degli amati reietti
ce ne parla Chiara Bianchi

Williamm T. Vollmann è un curioso caso di uomo e di scrittore. Per la parte umana, lascio a voi decidere se conoscerla, cercandola dentro e fuori dalle sue storie. Per la parte scrittoria, Minimum Fax negli ultimi anni sta portando in Italia la sua opera: raccolte di racconti, romanzi e reportage.

Voci di corridoio dicono che il suo nome corre da tempo tra le proposte per il Nobel Prize. Certamente, agli inizi degli anni Duemila la sua opera è stata insignita del National Book Awards, di cui una foto ricordo su internet vede Vollmann accanto alla grandissima Joan Didion, premiati entrambi in quell’occasione.

Insomma, i libri che leggiamo di Vollmann non sono stati scritti propriamente ieri.

Infatti, Tredici storie e tredici epitaffi è del 1991 e qui in Italia fu tradotto da Fanucci agli inizi del Duemila per poi scomparire. Ora Minimum Fax lo ripropone in questa nuova veste con la traduzione affidata a Chiara Belliti e Simona Vinci.

Nel panorama statunitense Vollmann non ha un posto d’onore nell’olimpo degli scrittori, forse per la sua complessa opera, difficile da chiudere in un unico genere o sottogenere.

Qui, tra le pagine di queste tredici storie ed epitaffi è facile riconoscerne la passione per le vite dei suoi amati reietti: puttane, drogati, ultimi, dimenticati. Se i racconti sono una commistione perfetta tra acidità e ardore, dove c’è sempre qualcuno che fugge, qualcuno che muore, qualcun altro che vorrebbe morire, dove si amplificano la violenza e la meraviglia delle esperienze femminili, è nella prosa che il tempo si dilata e implode in lunghe elugubrazioni accompagnate da flussi di parole che pure riescono a fotografare esattamente l’attimo prima della catabasi, che si realizza invece nei tredici epitaffi dedicati a persone, cose, animali.

Nella nota dell’autore si legge: «queste storie sono tutte epitaffi; questi epitaffi sono tutte storie». Ed è un po’ un cerchio che si chiude, come la vita che è destinata alla morte, è il senso fortissimo che resta sulla pelle leggendo Vollmann: un attraversare la vita da nord a sud da est a ovest come in Il fantasma del magnetismo; è essere una prostituta o una tossicodipente e avere il coraggio di ridere di amare di esistere e di perire come in La cattiva ragazza o in Le ragazze felici; è credersi Dio, come in Uomini divini; è vivere un amore tossico come in Manette. Istruzioni per l’uso; è raccogliere pezzi di decadenza e dare loro dignità letteraria. È essere Elaine Suicide (che torna in più racconti e di cui è difficile dimenticarsi) che chiede «[…] come mai sei così silenzioso? Ti stai comportando in modo ONESTO con te stesso? perché l’onestà era importante per Elaine che non era più Elaine Suicide ma Elaine Pure Light».

In una frase: è Vollmann, che nell’ultimo racconto gioca con le Storie Perdute, con Edgar Allan Poe e le sue creazioni letterarie, in un racconto nuovo, straniante, potente che conduce all’oscurità eterna. 

Niente mi avrebbe impedito di continuare la mia fuga… così mi sorprese scoprire l’intensità con la quale desideravo guardarmi indietro – un’unica volta, ovviamente, e solo per dare l’addio ai miei giocattoli.

(da Fiori nei capelli)



Titolo originale: Thirteen Stories and Thirteen Epitaphs
Traduzione: Chiara Belliti , Simona Vinci
ISBN: 978-88-3389-605-2
Pagine: 356
Pubblicazione: gen 2025

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