Un racconto gotico ad alto contenuto di strappi all’identità e al genere. Una storia su come i genitori deludono.
Recensione di Chiara Bianchi
Mio padre abita in me per legge, in modo irrevocabile, così come ci sarà sempre una parte di grazia nelle disgrazia.
Se dovessi suggerire una scrittrice contemporanea statunitense direi senza dubbio Lindsey Drager. Insegnante di scrittura creativa, favolista. È così che si definisce. In Italia, le sue opere sono state tradotte da Giorgia Demuro per Zona42 – una casa editrice di “fantascienza e altre meraviglie” – nella collana I libri dell’Iguana. E tra le sue meraviglie rientra senza dubbio Drager e i due romanzi già in catalogo: L’archivio dei finali alternativi (2023) e Perdute le figlie (2025) – vincitore dello Shirley Jackson Award.
Quest’ultimo, un racconto gotico ad alto contenuto di strappi all’identità e al genere e, più ampiamente, una storia su come i genitori deludono. Drager si addentra nel mondo dei miti e delle fiabe e mette in scena una storia di padri e di figlie. Ricorre ai grandi nomi di scrittrici che hanno affascinato per il loro posizionamento e scontro coi padri (per citarne alcune Woolf Shelly, Perkins Gilman, le sorelle Brönte). Scrittrici che raccontano di figlie bambine e poi adulte soggiogate dal volere e dal controllo dei padri, dai quali svincolarsi per dimostrare che non è sempre vero che gli adulti sanno meglio delle bambine.
Che la morale della sua storia serve a insegnarci che i genitori che scelgono di non ascoltare quando sono i figli a spiegare loro il mondo sono ancora più pericolosi.
L’infanzia viene setacciata nelle pagine di Drager che struttura il libro in due parti: nella prima conosciamo una bambina giunta al suo sesto compleanno, figlia de lo Studioso. Di entrambi scandagliamo le notti e la loro comunicazione. Un rapporto costruito sulle storie delle figlie perdute o disperse di padri riuniti in un gruppo di sostegno, all’ultimo piano di una fabbrica abbandonata di ombrelli, in cui si elabora il dolore della perdita. Conosciamo così le storie di ogni Alice e ogni Dorothy.
Nella seconda parte, la storia indaga, con le stesse modalità, la relazione tra un padre e una figlia transgender. Drager tocca punti di quotidiane domande e rivelazioni, nella scoperta reciproca di qualcosa che apparentemente aveva dell’incomprensibile per entrambi.
Drager scrive di Disturbo di Sintesi Corpo-Spirito invece che di disforia di genere, e parla di un Pensatore anziché di psicologo. Sostituisce le parole, regalando il racconto di un'esperienza trans tra padre e figlia, davvero intensa.
Ognuna delle metà del romanzo ha un finale soddisfacente ed emozionante che lascia vacillare.
Grazie a una prosa essenziale, ricca di filosofia e di emotività, e a una struttura spiazzante, il romanzo di Drager ci dona una lettura intensa, riflessiva e immaginifica.
È il mondo delle bambine, è il tempo delle figlie, è il tempo «della grazia nella disgrazia».
Tutti sanno che le figlie nascono sole.
Titolo: Perdute le figlie
Autore: Lindsey Drager
Traduzione: Giorgia Damuro
Casa editrice: Zona 42
Pagine: 224
Pubblicazione: 2025
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