L’uomo di spine | Diandra Elettra Moscogiuri

L’uomo di spine | Diandra Elettra Moscogiuri

«Puoi vivere un’intera vita con un mostro dentro e non saperlo mai. I guai cominciano quando lui decide di farsi sentire.» E sono guai.

Recensione di Paolo Perlini

Siamo a Roma, anno 2070. Ma non aspettatevi un futuro avveniristico o dominato dalla tecnologia. Diandra Elettra Moscogiuri ci porta in un mondo sorprendentemente vicino al nostro, dove i progressi sono stati minimi e le abitudini quotidiane restano familiari. I telefoni continuano a scaricarsi nel momento meno opportuno e le vecchie auto a motore a scoppio – come le iconiche Panda – continuano a circolare. Il 2070, più che una visione futuristica, è un pretesto narrativo che amplifica il senso di realtà e coinvolgimento: il lettore si ritrova in una dimensione che sembra distante solo sulla carta.

Protagonista della storia è Gerardo Sordino, un ex poliziotto sessantenne che sta per uscire di prigione dopo aver scontato cinque dei dieci anni di condanna. C’è sua moglie Maria ad attenderlo fuori, anche se lui non ne è del tutto sicuro.
La sua scarcerazione anticipata non è un atto di clemenza, bensì una conseguenza inquietante: un corpo è stato ritrovato e, con esso, riaperto un caso di venticinque anni prima. Tutti credevano che l’assassino seriale noto come L’Uomo di Spine fosse stato fermato, che corrispondesse alla figura di Akito Kawamura, suicidatosi proprio davanti a Sordino, ma ora il dubbio si insinua: se non fosse stato veramente lui? Oppure, in caso affermativo, c’è qualcuno intende ripeterne le gesta? È Nadia Cometti, sua dirigente all’epoca a caldeggiarne la scarcerazione: ritiene che solo lui possa scoprire chi c’è dietro questo efferato delitto.

Gerardo, segnato da una tragedia che ha coinvolto suo figlio Giorgio, si ritrova a fare i conti non solo con un’indagine intricata, ma anche con il peso del passato e con i mostri che lo circondano. E qui emerge uno dei temi più potenti del romanzo: il mostro non è solo dentro di noi, ma vive accanto a noi, nascosto nelle pieghe della quotidianità, nei volti familiari di amici, colleghi o parenti. È una presenza subdola e insospettabile, pronta a rivelarsi quando meno ce lo aspettiamo.

La scrittura di Moscogiuri è coinvolgente, ricca di dettagli che arricchiscono l’atmosfera senza appesantire la narrazione. La Roma del 2070, per nulla diversa da quella attuale, fa proprio pensare a quanto sia lunga ed eterna la decadenza di questa città, ed è lo sfondo perfetto per un thriller in cui ogni certezza viene messa in discussione.

Uno dei punti di forza del romanzo è la filastrocca ricorrente, che diventa il simbolo della minaccia costante e dell’ossessione che si insinua nella mente del protagonista e del lettore:

“L’Uomo di Spine si trascina nella notte.
L’Uomo di Spine ha tutte e due le gambe rotte.
L’Uomo di Spine è una creatura maledetta,
è sempre lì, nascosto, che ti aspetta.
Incontrarlo sarà una meraviglia.
Però, attenta! Ti punge se ti piglia.”

Questi versi, ripetuti come un oscuro ritornello, scandiscono la tensione crescente della storia, suggerendo che il male può nascondersi ovunque, persino dove meno ce lo aspettiamo.
Un romanzo che coinvolge e fa riflettere, con una trama e un protagonista che, pur con le sue ombre, cerca disperatamente la verità e la redenzione.

Titolo: L’uomo di spine
Autore: Diandra Elettra Moscogiuri
Editore: Effetto
Pagine: 210
Pubblicazione: 9 maggio 2024


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