Il postumano e la mutazione delle specie brillano di intelligente abilità scrittoria nel romanzo di Dath: un labirinto scientifico-culturale parlante in cui perdersi.
Recensione di Chiara Bianchi
Finalista nel 2008 del German Book Prize, Dietmar Dath, prolifico autore tedesco di romanzi di fantascienza, arrivò nell’Olimpo dei premi con un romanzo di fantascienza. A portarlo in Italia, dopo qualche anno di troppo – di attesa, s’intende – Nero Edition, nella traduzione affidata a Paola Del Zoppo in collaborazione con Elena Germani, Marta Pacciani e Beatrice Sensini.
L’abolizione delle specie non è un romanzo facile, sia per mole (supera le 500 pagine) sia per linguaggio e contenuto. Ma non mi sento di esagerare nel definirlo un’antiutopia dalla prima all’ultima parola, di cui soltanto l’autore conosce i mille strati da cui è composta. Una visione del futuro scomoda, folle. Uno spettacolo linguistico esplosivo che unisce le arti e i saperi. La creazione di neologismi permette quella sfumatura necessaria per lasciarci in bilico tra la verità e la fantasia. Solo nel linguaggio tecnologico si riconosce il confine tra la nostra realtà e quella evidentemente ‘altra’ costruita in questo romanzo.
Una lettura che ci immerge nel disagio, nell’oscurità del futuro, e Dath ci porge la mano lasciando intatta la morfologia delle parole (in questo, grande plauso al lavoro di traduzione che restituisce il senso di quanto detto).
L’arco narrativo è ampio, disteso su oltre mille anni di storia. Sicuramente c’è un passato, che somiglia molto al nostro presente, detto età della noia, e un futuro, che è il punto in cui inizia la narrazione, l’Era dei Gente.
Ed è subito dalle prime pagine che ci si rende conto di dover compiere una rimozione del sapere categorico a cui siamo abituati. Le mutazioni e gli ibridismi tra le specie non ci permettono di addomesticare la fantasia.
Abbandonato ogni sapere, seguiamo i molti personaggi che si palesano vorticosamente dalla penna di Dath che cambia continuamente prospettiva, livelli narrativi, tempi e luoghi a un ritmo vertiginoso. Non è un caso se il ritmo è così serrato vista l’importanza della musica per l’autore, il quale divide per movimenti le parti del romanzo. E anche se a volte si ha la sensazione di perdere il filo, poco dopo si avverte quella contraria di essere talmente dentro la storia da essersi persi inseguendo i personaggi, proprio in quel futuro fantasmagorico.
Chi vincerà? Chi prenderà il potere? Cosa viene dopo l’uomo? Sembra chiaro per Dath: il futuro è delle macchine.
Ma Dath, che crede fermamente nella distopia come critica sociale del presente, come i grandi pensatori di tutti i secoli, crea un non luogo in cui depositare il nichilismo di tutte le categorie e classificazioni.
Con questo romanzo, ha giocato con possibilità e contingenze, trasformandole in un congegno affascinante, in cui camminiamo tra verità e poesia, scienza e arte, passato presente e “non-futuro”.
È sempre un sollievo ritrovarsi tra le mani un libro di questo spessore, il cui l’autore, come pochi, armato della giusta arroganza e di tanto coraggio posa una pietra sul dibattito attuale per presentarci la sua apocalisse.
Mentre le pellicce dei tassi scricchiolavano dal caldo e la pelle squamate delle iguane luccicava come se al di sotto brillassero le stelle, molti chiedevano: perché agli umani era successo ciò che era successo?
Alcuni, soprattutto le scimmie, fino alla primavera credevano ancora che fosse dipeso dall’amore: «stavano sempre appresso a quella roba» […]
Titolo: L'abolizione della specie
Autore: Dietmar Dath
Traduttori: Paola Del Zoppo con la collaborazione di Elena Germani, Marta Pacciani e Beatrice Sensini
Casa editrice: Neroeditions
Pagine: 500
Pubblicazione: 2024
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