A spasso con i Jourde Brothers, in un viaggio che “ormai è solo un eterno circumnavigare, un modo di evitare il reale a furia di andare a cercarlo”.
Recensione di Paolo Perlini
Un vecchio divano-letto di velluto verde oliva, decorato con fiorellini e braccioli in legno chiaro, è quanto la madre di Pierre intende conservare dell’eredità di sua madre, morta alla venerabile età di novantatré anni, con il naso nelle fette imburrate della colazione. Il divano-letto, insieme alla due poltrone abbinate, l’aveva preferito agli oggetti decorativi, perché almeno poteva essere usato.
«Starà bene in Alvernia» era una formula magica per mezzo della quale mia madre riusciva a trasformare il peggior avanzo di magazzino in pezzo d’arredamento.
I fratelli Jourde, Pierre e Bernard (il genio del male), accompagnati da Martine, la moglie di quest'ultimo, sono quindi incaricati dalla madre di trasportare l'ingombrante cimelio dalla periferia parigina di Créteil fino alla casa di famiglia in Alvernia. Un'impresa che, sin dall'inizio, si rivela economicamente insensata: tra il noleggio del furgone, carburante e pedaggi, il costo supera di gran lunga quello di un divano nuovo. Ma in gioco non c'è solo un oggetto: ci sono la memoria, l'affetto e il bisogno di dare un senso a ciò che, in apparenza, non ne ha.
Il viaggio, scandito da dialoghi immaginari e racconti verosimili, è un pretesto per esplorare storie del passato e riflettere sulle singolarità delle relazioni familiari. Pierre, voce narrante e loquace protagonista, intrattiene i compagni di viaggio con aneddoti e ricordi che spaziano dall'infanzia ai giorni più recenti. Storie reali, che il narratore si racconta e ci racconta ma sulle quali pure lui nutre dei dubbi poiché «la mia memoria finiva sempre per non distinguere più quelle vissute da quelle sognate, dato che quelle sognate tornavano così tante volte a farmi visita da prendere l’autorità del ricordo, mentre quelle reali scivolavano spesso nei miei sogni a tal punto che la loro materia non si distingueva più da quella della chimera.»
Ogni capitolo del libro ruota attorno a un oggetto simbolico, carico di significati e conseguenze nefaste: una borsa bomba, dei tappi assassini, una bottiglia di Coca-Cola distruttiva, una conchiglia castigatrice, un parapetto, una tazza di tè... Jourde rende questi oggetti vivi e protagonisti di episodi che oscillano tra il comico e il tragico, tra il surreale e il riflessivo.
Il lettore viene coinvolto direttamente, chiamato in causa con frasi che spezzano la quarta parete, la barriera immaginaria che c’è tra l'opera e il pubblico o il lettore. Spesso si ha l’impressione di essere proprio lì sopra, sul Jumper bianco preso a nolo, in compagnia dei Jourde Brothers e Martine. Dirò di più: si ha l’impressione di essere dentro un film ed è una strana sensazione che di rado ho avuto il piacere di vivere.
Spesso tra i ricordi compare una barca e diventa spontaneo l’accostamento a Jerome K. Jerome: la scrittura di Jourde è feroce e ironica, capace di alternare sarcasmo e tenerezza, divagazioni surreali e momenti di profonda introspezione.
«I viaggi mi incitano ad accucciarmi nei luoghi. I grandi spazi mi spingono irresistibilmente al ritiro e al raccoglimento intimo». (Vi invito a cogliere il vero significato di questa riflessione leggendo il libro)
Un libro che fa sorridere, riflettere e, a tratti, commuovere. La madre, figura centrale eppure assente, aleggia su tutto il racconto: cresciuta in un ambiente freddo e privo di affetto, sembra voler trasformare quel divano in un atto estremo di amore, una compensazione per le ferite del passato. Ma quando si scopre cosa la madre di Jourde decide di fare del divano e dei suoi ultimi giorni, si percepisce una crepa nel cuore: l'eco di un amore mai ricevuto e di un vuoto che forse non sarà mai colmato.
Finalmente nella mia libreria si aggiunge un autore particolare, diverso, che si discosta dalla forma di romanzo nel quale tutto deve rispettare determinati cliché. Un romanzo che definisco creativo e che temo sia un aggettivo ormai sparito dall'Italia. Di Pierre Jourde la casa editrice Prehistorica sta pubblicando tutte le sue opere e non vedo l’ora di leggere le precedenti.
«Il nostro non è più il trasporto di un divano, è una crociera culturale».
Leggetelo, e vi verrà voglia di noleggiare un furgone, salirci sopra in compagnia dei parenti più stretti e vedere quello che salta fuori. Io l’ho fatto.
Titolo: Il viaggio del divano letto
Autore: Pierre Jourde
Traduzione: Silvia Turato
Casa editrice: Prehistorica edizioni
Pagine: 240
Pubblicazione: 2024
Compra sul sito dell'editore
Ti è piaciuto questo articolo? Dacci una mano! Il tuo aiuto ci consente di mantenere le spese di questa piattaforma e continuare a diffondere l'arte.
L'associazione si sostiene senza pubblicità ma soltanto con le tessere associative e l'impegno dei soci.
I Link verso i canali di vendita sono inseriti al solo scopo di agevolare gli utenti all'acquisto.
Sottoscrivi la tessera associativa con una piccola donazione su PAYPAL
Oppure puoi offrirci un caffè.