Romanzo di crinale | Silvano Scaruffi

Romanzo di crinale | Silvano Scaruffi

Come talvolta succede, questo romanzo l’ho preso a scatola chiusa: mi era bastato il primo accenno che ne fecero quelli della Neo edizioni. Non volli nemmeno leggere l’estrattone diffuso sul canale Telegram, tanto ne ero sicuro. Una sensazione strana, come quella che si prova quando tiri una freccetta e sai che farai centro; punti un numero e sei certo che verrà fuori; temi di tagliarti con il coltello e zac, l’hai già fatto.
Dopo l’acquisto se ne è rimasto nella torretta dei libri fino a quando è arrivato il suo momento di essere divorato in una notte.
Romanzo di crinale di Silvano Scaruffi comincia con un biglietto che Ginasio aveva scritto a sua moglie Viola e che lei trova nel cassetto, dopo la sua morte: 

«La gente fa presto a dire, vè, Ginasio, st’altra settimana allora vieni a tagliarmi un po’ di legna? Ah, gli dico io, se ci arrivo a st’altra settimana, e loro si mettono a ridere. Visto’ Adesso vedrai che ridono di meno».

E da lì è tutta discesa.

Ginasio è solo uno dei personaggi di un paese disperso nell’Appennino che rientra nel Parko, un progetto della SIO che sta espropriando terreni per dare una conformazione e vocazione diversa alla zona.
Un altro è il Bunga, che va in giro con un verme dentro un vaso di vetro dicendo che quello è il capostipite della famiglia: guai a chi lo tocca. C’è Brasco che gestisce il bar, esclusivamente aperto per Romma e Burasca, due tipi che si perdono in discussioni sconclusionate. Poi c’è la Viola che ha sposato Ginasio e la Flora dei Verduga che osserva sempre Ginasio dormire sotto un ciliegio. Soprattutto c’è Taioli (il colpevole delle mie ore piccole) che finisce sempre per essere interpellato e coinvolto in faccende verso le quali non prova alcun interesse. Per non parlare di Freva della Valla che chiama più volte il Centro Servizi Parko SIO per denunciare delle continue tremarlate della casa, vibrazioni, scosse, come se dei topi rosicchiassero le fondamenta.
E poi c’è Bestio. Di lui «dicono sia solo un’invenzione per spaventare la gente, che sia un esperimento genetico sfuggito al controllo della SIO, che sia morto quel giorno, affogato sotto la diga, che sia uno spettro che smuove i ferri nell’officina abbandonata, proietta ombre sinistre sotto i fari arancioni a bordo lago. Dicono che non possa esistere una creatura simile. Dicono
cose così, in paese».

Personaggi strampalati che mi hanno portato a rivivere le stesse sensazioni provate nel 1987, quando per la prima volta lessi il Poema dei Lunatici di Ermanno Cavazzoni.

Un paese che può essere uno dei tanti arroccati sull’Appennino, quelli che ti chiedi come fanno a esistere, che ci fa la gente lì, come vive. Ma potrebbe benissimo essere un paese della bassa, sperduto in pianura, dove giri lo sguardo e non vedi nulla se non le punte dei pioppi.
Crinali o frontiere, luoghi che danno sfogo all’immaginazione e a una voce singolare, genuina, come il vino del contadino: senza sofisticazioni. Leggendo si ha proprio la sensazione, che all’autore sia venuto tutto facile, perché come scrive, parla. E viceversa.

Titolo: Romanzo di crinale
Autore: Silvano Scaruffi
Editore: Neo Edizioni
Pagine: 144
Pubblicazione: 28 febbraio 2024

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