L’uomo che vendeva l’aria in Terrasanta | Omer Friedlander

L’uomo che vendeva l’aria in Terrasanta | Omer Friedlander

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Un esordio narrativo in dieci racconti ironici, teneri, vivi. Un immaginario lontano ma vicino, inaspettato come la neve a Israele. 

Ce ne parla Maria Teresa Renzi-Sepe

Quello di Omer Friedlander, classe ’94, è davvero un bell’esordio narrativo. La sua raccolta di racconti – L’uomo che vendeva l’aria in Terrasanta, edito da NN Editore – va ben oltre l’immaginario che il titolo può suggerire. Con una lingua semplice ed emotiva, l’autore ricalca con dovizia – o forse, per chi vorrà leggerlo fino alla fine, bisognerebbe dire “miniaturizza” – un contemporaneo Medioriente, arricchendolo di dettagli freschi, vivi perché risuonano fino a noi, nelle nostre case europee. Azzarderò nel dire che no, non è quello che pensate: Friedlander ha scritto delle belle storie ironiche, tenere, amare.

I racconti si tendono tutti la mano, passandosi il testimone della guerra. Dolorosa, fratricida, passata o presente che sia. Niente di politico, o forse si – si veda il racconto di Esther e Adinah che chiude la raccolta. Saranno i lettori a farsi un’idea. Resta il fatto che l’autore è delicato – delicato come mi immagino Salim, protagonista del racconto Il collezionista di sabbia, che fa skateboard scivolando fra le dune del deserto – e lo si apprezza molto per questo.

I richiami al passato di Israele e dintorni – storico, archeologico, letterario – danno una forma all’identità. Ce ne sono molti, eppure mai ingombranti, anche se alcuni racconti sono più simbolici di altri. Ad esempio, in Sherazade e la stazione radio, la storia culturale viene a riscuotere il suo prezzo, in un tempo di guerra in cui forse solo l’istinto può salvarti.

I personaggi sono sagome di un immaginario mediorientale – calzolai, ambulanti, soldati, volontari – animate da un forte senso dell’oggi e del grottesco. Omar Friedlander li modernizza, mettendoli nel loro ambiente naturale e liberandoli da una prigione narrativa a cui spesso sono stati destinati. Così, ragazzini alle prese con i primi amori e responsabilità, che si arrampicano sulle spalle dei giganti urbani di cemento, giocano a Pokémon, spacciano o derubano i turisti, e vanno in cerca di sopravvissuti alla Shoah di cui vantarsi con gli amici convivono con il racconto di chi resta – anziani e donne – che gestiscono il dolore della perdita, umana o identitaria che sia. 

Quello che l’autore stesso dice (p. 229) a proposito di questa raccolta è ciò che emerge genuinamente dai testo, nonché l’intento principe della sua scrittura: 

In questa raccolta ho voluto dissotterrare le storie di alcuni individui, nascoste sotto la narrazione ufficiale fossilizzata. Spero di essere stato un ascoltatore empatico dei miei personaggi e il mio grazie finale è per loro, per avermi raccontato le loro storie.

Secondo me, in L’uomo che vendeva l’aria in Terrasanta lo è stato, un ascoltatore empatico. Perciò, lasciatevi portare per mano da Omar Friedlander in un immaginario che vi sembrerà vicino e lontano allo stesso tempo. E questo è un fatto né scontato né banale; come l’evento che apre e chiude la raccolta, nel primo e nell’ultimo racconto: la neve a Israele. 


[Questa recensione è stata scritta a seguito di un incontro del gruppo di lettura LiberLiber di Berlino, i cui partecipanti si sono dedicati alla lettura del libro di Friedlander nel mese di Giugno 2023. Ringrazio la fondatrice Chiara Bianchi e i lettori partecipanti con i quali stiamo costruendo una casa di parole per tutti.]

Titolo: L'uomo che vendeva l'aria in Terrasanta
Autrice: Omer Friedlander
Editore: NN edizioni
Pagine: 240
Traduzione: Irene Abigail Piccinini
Pubblicazione: novembre 2023

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