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Se non fosse per Carbonio editore, chi avrebbe mai conosciuto Sadeq Hedayat? Io no di sicuro.
Sadeq Hedayat nacque in Iran da famiglia nobile, studiò ingegneria in Belgio, si trasferì in Francia nel 1927 e tentò per la prima volta il suicidio gettandosi nella Marna. Partì per l'India per imparare la lingua pahlavi e approfondire le sue conoscenze zoroastriane, tornò in Iran e infine a Parigi, per completare quello che non aveva finito.
Visse poco, nemmeno cinquant'anni, ma durante questa breve esistenza, oltre ad aver studiato molto, pubblicò romanzi brevi, racconti, due drammi storici, una commedia, un diario di viaggio e opere satiriche. È considerato il padre della letteratura persiana moderna e il suo lavoro più famoso è La Civetta Cieca.
Già pubblicata nel 1960 da Feltrinelli, l’edizione di Carbonio si caratterizza perché è la prima traduzione condotta sul testo persiano, originale, mentre le precedenti edizioni provenivano dalle versioni in inglese e francese.
Non si tratta di una lettura facile ma fra i tanti motivi, uno per cui per cui vale la pena leggerlo è che questo libro, pubblicato nel 1936 a Bombay, cominciò a circolare in Iran solo nel 1941, dopo l'abdicazione di Reza Shah Pahlavi, ma ancora adesso subisce delle forti censure.
La Civetta Cieca è un monologo con una trama non lineare, un lungo racconto annebbiato da oppio, incubi, paure e follie di un miniaturista di portapenne che inizia a raccontare le origini del suo malessere esistenziale, un turbamento che ha raggiunto il culmine dopo aver incontrato una ragazza.
"...il mio essere venne catturato da quello specchio ammaliante in un modo inconcepibile per le creature umane".
Doveva essere stato un incontro travolgente per fargli dire:
"Non volevo assolutamente toccarla, mi bastavano quei raggi invisibili che irradiavano dai nostri corpi e congiungevano. Non è forse questa la terrificante esperienza di due amanti che, incontrandosi per la prima volta, hanno la sensazione di essersi già conosciuti, di essersi già visti in passato, di esser legati da un misterioso rapporto?"
Dopo averla persa di vista, la ritrova sulla soglia di casa, ma gli muore fra le braccia e lui, accecato dal desiderio, ne ama il corpo esanime e quando riacquista lucidità, temendo di essere scambiato per l’assassino, decide di fare a pezzi il cadavere. Cerca di liberarsene e torna a casa con un vaso affidatogli dal guidatore di un carro funebre.
Tutto inizia a confondersi in un viaggio allucinante e allucinato, tra un susseguirsi di sogni e realtà:
"La mia ombra era stata decapitata. Avevo sentito dire che se uno vede la propria ombra senza testa significa che morirà entro l'anno... Passato, futuro, ora, giorno, mese, anno: sono un tutt’uno per me”.
Scopriamo così la sua vita passata, nella quale era sposato con la sorella di latte che non lo amava, non gli si concedeva e aveva numerosi amanti, di ogni genere: capi della polizia, rosticcieri, venditori di trippa, filosofi. Eppure lui la amava, perché solo un innamorato è capace di dire:
"Abbracciai le sue gambe che avevano il sapore dolce amaro del cetriolo...la sua bocca aveva il sapore amaro della punta del cetriolo".
Sono due le parole che compaiono costantemente: Calistegia e Sgualdrina.
La Calistegia è una pianta erbacea della famiglia delle Convolvulacee: rustica, rampicante, perenne ma volubile. È quindi necessario favorire l'avvolgimento con dei tutori.
La Sgualdrina, secondo il dizionario, è una donna il cui comportamento, specialmente sessuale, contravviene ai canoni tradizionali dell’onestà e del pudore.
Ancora adesso, dopo aver terminato la lettura da almeno un mese, sto cercando il filo nascosto che lega queste due parole.
Sàdeq Hedàyat | La Civetta Cieca
Formato: Copertina flessibile
Editore: Carbonio
Collana: Origine
Data di Uscita: 6 febbraio 2020
Pagine: 135
© Paolo Perlini