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Non è una pannocchia giapponese e nemmeno un telescopio particolare. Il Panopticon o panottico è un carcere ideale progettato nel 1791 dal filosofo e giurista Jeremy Bentham.
Il modo in cui è progettato consente a un unico sorvegliante di osservare (opticon) tutti (pan) i detenuti, senza permettere a questi di capire se siano in quel momento controllati o no. Un'idea che è stata ripresa da pensatori e filosofi, basti pensare a George Orwell e il romanzo 1984. Poi è stata riformulata anche da menti meno stabili e più morbose, e il riferimento al format tv il Grande Fratello è assolutamente voluto.
Il "Panopticon" di Jenni Fagan, autrice scozzese, si trova nella periferia di Edimburgo, in aperta campagna. Qui vengono custoditi i ragazzi dal passato tormentato, il presente difficile, il futuro che probabilmente sarà dietro le sbarre.
Ragazzi di circa quindici anni, come Anais Hendricks, accusata di aver mandato in coma una poliziotta, una tipetta che la pensa così, tanto per chiarire il soggetto e i suoi parametri di normalità:
“Accanto a Baffo, la biondina con i capelli da elfo si gratta la pancia. Ha un botto di tagli, cazzo. Non è mica normale. Cioè, è normale se ti tagli le braccia, le gambe e certe volte le cosce, ma mica tutti quegli sfregi ovunque”.
Del resto, Anais ha iniziato a bere e a drogarsi a nove anni e di seguito è arrivato tutto il resto. Non ha mai conosciuto la madre biologica e quella adottiva, che di mestiere faceva la prostituta, è stata ammazzata.
È sempre vissuta in istituti e case famiglia e si sente vittima di un esperimento. Lo dice già nell'incipit e lo ripete: "Sono un esperimento. Lo sono da sempre. È una certezza, un'impudenza, un fatto. Mi osservano".
Tuttavia, Il Panopticon non è un carcere e i suoi ospiti possono uscire rispettando certi orari. Anais Hendricks si ritrova a convivere con giovani tossici, adolescenti abusati, prostitute in erba. Ingurgita acidi di ogni tipo per fuggire (o restare) nella realtà e sogna Parigi come unica via di fuga. Anais è la protagonista che si impara ad amare lentamente, pagina dopo pagina, senza fretta.
La scrittura di Jenni Fagan è immediata, potente, scorretta come deve esserlo quella parlata da una quindicenne borderline. Una scrittura che imita il gergo della strada, quello giovanile fatto di frasi in cui intercalare è composto da "tipo, cioè, a-ah", tradotta mirabilmente da Barbara Ronca. Una scrittura che disturba e fa riflettere, e alla fine del libro succede come dopo l'esecuzione di certi concerti, quando il direttore d'orchestra abbassa la bacchetta: la musica rimane sospesa nell'aria, si resta in silenzio e poi parte l'applauso.
Jenni Fagan, che come il personaggio di Panopticon non ha mai conosciuto i suoi genitori e ha trascorso i suoi primi 18 anni tra istituti e case di accoglienza, è autrice di raccolte di poesie e del romanzo "Pellegrini del sole", pubblicato sempre da Carbonio.
Panopticon è stato tradotto in 8 lingue e opzionato per il cinema dalla Sixteen Films di Ken Loach. Nel frattempo sarà messo in scena nei teatri di Edimburgo e Glasgow.
© Paolo Perlini
Panopticon | Jenni Fagan
Editore: Carbonio Editore
Collana: Cielo Stellato
Uscita: 1 febbraio 2019
Formato: Copertina Flessibile
Lunghezza: 304 pagine