High as Hope | Florence & the Machine

High as Hope | Florence & the Machine

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La prima volta che ho ascoltato Florence+The machine era l’estate del 2012.
L’autobus proseguiva sulla strada dissestata nel cagliaritano, direzione spiaggia. Io e le mie amiche eravamo in mezzo al nulla e con le cuffiette nelle orecchie avevamo fatto di “Dog days are over” un vero e proprio mantra.

Sono tanti i testi di Florence che hanno un effetto salvifico sulle persone. Se a quei testi ci aggiungi la sua voce potente e le musiche spesso ritmate e incalzanti si fa presto ad erigerla ad ancora di salvataggio nei periodi più bui.

La prima impressione che si ha all’ascolto di ogni suo brano è una boccata d’acqua fresca e cristallina. Sempre vellutata ma incisiva, delicata ma forte. Mai banale. “High as hope” è il suo ultimo disco, dopo tre anni di silenzio da “How big how blue how beautiful”.

Ancor più delle altre volte, la trentenne prodigio dai capelli ramati ha deciso di scavarsi dentro e mettere sul piatto tutte le sue paure più nere redigendo una sorta di diario musicale che ci consegna impacchettato in una veste splendida. Il disco è poco radiofonico, bensì lo definirei quasi contemplativo.

Florence si siede su una poltrona e si confida. Ci racconta dei suoi problemi alimentari, dell’alcolismo e si scusa per tutte le volte che ha rovinato un compleanno di una persona cara (nella fattispecie nel brano “Grace” la cantante compone una vera e propria ode di scuse alla sorella). “Hunger”, il primo singolo, si apre con una frase che fa male come uno schiaffo in pieno viso - a 17 anni ho iniziato a lasciarmi morire di fame - e ci fa aprire gli occhi su uno di quei fantasmi ancora troppo sottovalutati, di quelli che tanto sono lontani dalla nostra quotidianità e poi ci ritroviamo a scoprire che stanno consumando la nostra cantante preferita o nostra sorella.
In “Big god”, invece, viene raccontato il fenomeno del ghosting, di quando una mattina ti svegli e una persona importante ha deciso improvvisamente di tagliarti fuori dalla sua vita senza dare spiegazioni e senza accennare a rispondere ai tuoi messaggi. Tutti abbiamo avuto bisogno di un grande Dio ad un certo punto della vita e tutti abbiamo sentito o sentiremo quel dolore che dà una perdita immotivata.
Non c’è spazio per le metafore, viene lasciato campo libero al disagio crudo senza bisogno di troppi fronzoli.
Lo dice anche il titolo, “High as hope” è un inno alla speranza. Suona quasi a dire: se ce l’ho fatta io, puoi farcela anche tu. So che sarà doloroso e difficile, ma non impossibile. È un ritorno alla vita, un tentativo di tornare alla luce dopo aver raschiato l’ennesimo fondo nel buio.

D’altronde Florence è quella che ci ricordava che è sempre buio prima di ogni alba.



L’edizione speciale in vinile è a dir poco poetica. È così bella e curata che viene quasi da piangere a tenerla fra le mani. Il vinile è giallo e all’interno è presente un librettino splendido. L’effetto diario è dato dalle scritte che sembrano fatte con il pennarello, dalle parole cancellate e da quelle sottolineate con l’evidenziatore.

High as hope” dà proprio l’impressione di avere fra le mani un diario segreto dove sono confidati pensieri e paure, le verità più intime. Dai sentimenti verso la famiglia ai pensieri per gli amici (in prima linea “Patricia” il brano dedicato a Patti Smith), i ricordi dell’adolescenza passata fra una sbronza e l’altra fra i locali di Londra e i mostri più insidiosi dall’alcolismo all’anorressia.

Insomma, una confessione e un modo di chiedere anche scusa fra le righe per tutto quello che è stato difficile (e per tutto quello che difficile lo sarà). A noi Florence Welch aiuta sempre a tirarci su, a darci la spinta per andare avanti insieme ai suoi tamburi ritmati anche se le sonorità di “High as hope” sono ridotte all’osso e risultano meno plateali degli album precedenti.

Ci vediamo al concerto cara Florence e grazie perché anche stavolta ci hai salvato e ci hai dato tutte le speranze di cui avevamo bisogno.

© Giulia Cristofori

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