La settimana scorsa abbiamo pubblicato sulle pagine di CrunchED la recensione de "La Famiglia X", scritto da Matteo Grimaldi e edito da Camelozampa. Abbiamo avuto la ghiotta occasione di poterci mettere in contatto con l’autore e gli abbiamo posto qualche domanda:
“Supermarket 24”, il tuo precedente libro, racconta le difficoltà del lavoro giovanile viste con gli occhi di un ragazzo che è sottopagato, vessato e a cui non piace quel che fa, mentre “La Famiglia X” guarda al mondo LGBT e strizza l'occhio alle problematiche connesse all'adolescenza. Sono due tematiche fortemente diverse tra di loro, tuttavia il loro fattor comune è certamente l'estrema attualità che ne caratterizza le pagine. È la realtà che ti dà spunti freschi? Cosa ti ha dato l'ispirazione? C'è stato qualcosa in particolare che ti ha fatto scattare la scintilla del libro?
La realtà è una fonte di ispirazione quotidiana. Mi capita spesso di soffermarmi a guardare un passante e domandarmi come sia la sua vita, che lavoro faccia, se un lavoro ce l'ha, come trascorre il suo tempo, quale sia la sua battaglia da vincere. Tutti i miei personaggi partono da questo sguardo e poi diventano qualcosa d'altro, che è la loro storia. Nel caso de “La famiglia X” tutto è iniziato tutto leggendo un'intervista a due mamme che avevano appena avuto in affido un minore. Due ragazze giovani, con nessun tipo di complesso di maternità mancata, solo desiderose di offrire un aiuto, mettersi a disposizione.
Ho capito che volevo raccontare una storia di affido che, diversamente dall'adozione, richiede oltre all'amore la forza e l'equilibrio di chi sa fin dal principio che si tratta di un rapporto a termine. Ma volevo anche raccontare una storia che fosse divertente, avventurosa, emozionante. E allora ho affiancato al tredicenne Michael, il protagonista, tanti personaggi, ognuno col proprio mondo solo parzialmente risolto.
Uno dei consigli che spesso ci si sente dare quando ci si approccia alla stesura di un racconto è di scrivere su ciò che si conosce. Hai seguito questo suggerimento? Hai avuto esperienza di affidi a coppie LGBT? Quali sfide ti ha posto la stesura de “La Famiglia X” rispetto a “Supermarket 24”?
Sì, è importante avere un'idea molto chiara e quanto più completa possibile del mondo che si vuole raccontare. Quindi se non lo si conosce, innanzitutto bisogna informarsi a lungo non tanto per non incorrere in castronerie, quanto per riuscire a trasmettere un'atmosfera. Ho studiato le norme che in Italia regolano affido e adozione, mi sono confrontato con due bravi assistenti sociali che mi hanno spiegato le dinamiche dell'affido e raccontato alcune storie che non sono finite direttamente ne La famiglia X, ma sono state comunque un contributo importante. Ho conosciuto una coppia di papà con cui ho preso tanti caffè e giocato col loro piccolino.
Per entrambi i romanzi la sfida iniziale è stata, senza volerlo, la stessa: raccontare una storia che avesse al centro temi forti e farlo con toni leggeri, riuscendo se possibile a strappare qualche risata e qualche lacrimuccia. “La famiglia X” ha richiesto un lavoro di immedesimazione maggiore, perché se io e Luca Sognatore, il protagonista di “Supermarket24”, abbiamo qualcosa in comune, riuscire a far emergere la voce di Michael, un tredicenne, non era affatto facile. Si può dire che è stato l'aspetto su cui ho dovuto maggiormente lavorare.
Parafrasando Nelson Mandela, si potrebbe dire che non è necessario insegnare l'amore ai bambini perché viene loro naturale a differenza dell'odio che va inculcato con l'educazione. Perché un libro indirizzato ai più giovani e non scrivere un libro destinato agli adulti?
“La famiglia X” è un romanzo per ragazzi, direi dai 10 anni in su. E intendo dire fino a 100 anni almeno. Anche in questo senso c'è stata una riflessione di partenza e ho scelto di percorrere la strada più difficile: costruire una storia speciale, che avesse una duplice chiave di lettura. Da una parte il pubblico dichiarato dei giovani lettori, quindi una storia coinvolgente, divertente, raccontata con levità e senza scendere troppo nel dettaglio. Ad esempio, se è vero che c'è un intero paese schierato contro la decisione presa dagli assistenti sociali di affidarlo a una coppia di uomini, il problema principale di Michael non è senz'altro questo, ma la scuola, e la sua amicizia con Zoe. Dall'altra c'è il mondo dei lettori adulti, che trova fra le righe spunti di riflessione che i giovanissimi percepiscono appena. E spero che lo leggano tantissimi adulti; agire sull'educazione è un passaggio necessario e forse il più difficile.
Robert De Niro dice che la recitazione gli consente di vivere la vita di altri senza doverne pagare le conseguenze, secondo me la medesima cosa si applica anche a chi scrive. In che maniera “La Famiglia X” ha cambiato la tua prospettiva, se l'ha fatto e che impatto speri abbia sugli altri?
”La famiglia X” mi ha consentito di entrare nel delicato mondo delle famiglie omogenitoriali e dei diritti invisibili. L'ho fatto in punta di piedi, cercando di ascoltare tanto. Mi sta offrendo l'opportunità di tenere acceso un dibattito fondamentale, se vogliamo che il nostro Paese venga considerato un paese civile. Sto incontrando persone entusiaste, insegnanti che trovano nella storia di Michael e della sua stramba famiglia la miccia per parlare con gli studenti, affrontare con loro, a scuola, un percorso che abbia al centro i diritti. Questo è quello che mi auguro accada a chi leggerà il mio romanzo. Che si affezioni a Michael, che tifi per lui e per tutti i bambini che nel nostro Paese, allo stato attuale delle cose, non hanno ancora tutele. Che rifletta sulla capacità dei sentimenti di cambiare le cose impossibili.
Senza dare troppi indizi sull'epilogo de “La Famiglia X” possiamo dire che il finale potrebbe dare tranquillamente l'occasione di reincontrare i personaggi per una nuova avventura. In quest'epoca di produzioni serializzate e revival, considereresti l'idea di scrivere un sequel per la storia?
Le belle storie, per me, son sempre state quelle capaci di fermare un periodo di tempo, che può essere un giorno come in “Supermarket24”, oppure qualche mese come ne “La famiglia X”, e raccontarlo. Non mi piacciono quelle che mettono un punto sul finale, come un muro altissimo, perché non assomigliano alla vita. I giochi non sono mai chiusi. Anche quando sembra che le possibilità siano esaurite ecco che spunta un'uscita d'emergenza che non avevi considerato. Per ora non sento l'esigenza di proseguire la storia di Michael, in futuro chissà.
Questa domanda è de rigueur per chiunque venga intervistato su CrunchED: se dovessi dare una colonna sonora al libro quale sarebbe?
Il concerto per violino di Tchaikovsky: tumultuoso e soave, rapido e lento, romantico e sferzante. Tanti colori diversi che si incontrano e scontrano, in un continuo cambiamento.
Dai social vediamo che “La Famiglia X” sta avendo enorme riscontro durante il tuo tour di presentazione del libro in giro per l'Italia. Ci sono speranze per chi come tra noi sogna di farsi autografare la copia del libro e vorrebbe vederti fare tappa anche al sud?
L'entusiasmo che si sta generando attorno a “La famiglia X” è commovente e io sono felicissimo di farmi anche centinaia di chilometri per abbracciarvi tutti. Quindi certo che ci sono speranze, l'importante è trovare l'occasione giusta.
Quali progetti hai in cantiere per il futuro? Continuerai a scrivere di storie LGBT?
Non lo so, non distinguo le storie LGBT dalle altre. Sto lavorando a un romanzo che avevo accantonato, e sto riflettendo su nuove e vecchie idee. Nulla di ancora abbastanza definito.
Grazie mille per la chiacchierata davvero molto stimolante e ricca di spunti di riflessione. A presto e in bocca al lupo!
© Stefano Pastore