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Sono sempre stato affascinato dai viaggi nel tempo, fin da quando ero ragazzino. “Ritorno al Futuro” mi ha folgorato e cambiato per sempre. Il mio amore per il genere ha avuto inizio lì — nonostante i due sequel non siano stati mai più all’altezza del primo. Se c’è un personaggio che si muove tra epoche, io quella storia la devo conoscere. “Being Erica”, “Outlander”, “Travelers” sono solo alcuni dei titoli che adoro e vorrei non avessero avuto una conclusione o non finissero mai.
In questo senso “12 Monkeys” è diverso dagli altri. Ispirato lascamente al celebre film del 1995 con Bruce Willis, Brad Pitt e Madeleine Stowe, è una serie low-budget ordinata nel 2013 dal canale SyFy. Pur andando in onda su un network prettamente orientato ai contenuti di fantascienza, “12 Monkeys” non riesce a guadagnare grandissimi ascolti, ma conquista una solidissima fan base, che spinge la rete a rinnovare la serie per ulteriori due stagioni ed un totale di venti episodi. Ed è ciò che secondo me fa il successo indiscusso di questa produzione.
La prima stagione è ambientata nel 2043 e proprio come nel film è incentrata su una epidemia che spazza via miliardi di persone. Ben presto Jones (Barbara Sukowa, “Berlin Alexanderplatz”) e James Cole (Aaron Stanford, “Nikita”) attraverso messaggi dal passato scoprono che dietro alla propagazione della pestilenza c’è l’esercito delle 12 scimmie e — senza svelare troppo per chi tra voi ancora non avesse iniziato la serie — il tanto temuto quanto formidabile antagonista: il Testimone.
Jones, la scienziata responsabile per la costruzione della macchina del tempo, invia Cole ai giorni nostri alla ricerca della dottoressa Cassandra Railly (Amanda Schull, "Suits") con la speranza di eliminare il responsabile della propagazione del virus letale e cambiare così le sorti dell’umanità. Ma non è tutto così facile come appare. Proprio come questa non è una semplice storia di viaggi nel tempo e fantascienza.
Il merito ultimo di questa serie è quello di incentrare la storia su quesiti che sono vecchi come il mondo: cosa si è disposti a fare per salvare le persone che si amano? Se passato, presente e futuro potessero essere modificati all’infinito e riuscissimo a vivere in un unico eterno momento perfetto, che valore avrebbe l’istante che si vive?
Nello scorrere degli episodi, “12 Monkeys” svela la vasta mitologia su cui si poggia per spiegare da un lato le mosse dell’esercito e del Testimone, dall’altro la controffensiva dei protagonisti. Se questa continua espansione contribuisce a rendere la trama estremamente fresca e ne rinnova il midollo ad ogni stagione, catapultando i protagonisti in varie epoche, varie ambientazioni e costumi che rendono la storia particolarmente variegata e frizzante, dietro le quinte la meccanica del quadro generale, il comune denominatore di ogni episodio, suona totalmente familiare perché richiama fortemente immagini mutuate dalla filosofia o dalla religione attraverso il concetto di perfezione, del dopo e di un infinito momento perfetto in cui esistere.
I personaggi e i meccanismi che ne regolano i comportamenti vengono introdotti in maniera precisa, puntuale ed organica e non sono mai tirati in gioco in maniera fine a se stessa. Terry Matalas, creatore della serie, non perde mai di vista quale sia l’obiettivo finale e come un esperto artigiano costruisce il suo artefatto in maniera impeccabile, incastrando, uno dopo l’altro, ogni possibile pezzo tantoché avrai modo di vedere la serie con occhi nuovi due volte: da uovo e da gallina. Al Tempo viene data dignità di essere vivo e pulsante, in questa serie non solo ha una coscienza ma anche l’opportunità di ribellarsi più o meno quietamente: ora dipinto come una bestia sacra che può essere sottomessa, ora come un’entità superiore che prima o poi esige che si paghi.
"12 Monkeys" è un'ode al presente, una grande esortazione al vivere nel momento, è una favola in cui attraverso un'allegoria si mettono in discussione la possibilità dell'inizio e l'ineluttabilità della fine, provando a cancellarli, a riscriverli, a manipolarli secondo desideri, necessità o capricci, tuttavia dimostra — a mio avviso brillantemente —come non esista tempo più crudele di quello che in ultimo ci condanna necessariamente all'annientamento e che nel contempo con la sua finitezza rende ogni attimo infinitamente prezioso.
Poco meno di cinquanta episodi scorrono in fretta ed il finale della serie, definito da molti il più bell’epilogo scritto dopo “Breaking Bad”, ti lascerà non solo estremamente soddisfatto ma anche la libertà di decidere quale destino sia più appropriato per i personaggi della serie. Se dovessi iniziarla ed innamorartene, non temerne la conclusione perché, proprio come si dice nella serie: la fine è solo l’inizio.
Le prime due stagioni di "12 Monkeys" sono disponibili nel catalogo di Netflix.
Bonus: Christopher Lloyd, Emmet "Doc" Brown di "Ritorno al futuro" e Madeleine Stowe ("Revenge", "12 Monkeys" — il film) hanno preso parte alla serie in qualità di guest star.
© Stefano Pastore