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Una delle serie più discusse e ridiscusse degli ultimi anni è senza ombra di dubbio "Black Mirror". Arrivata al capitolo quattro presenta l’inquietante quadro di una società distopica a cui siamo vicinissimi, dove le tecnologie e la perdita di controllo sulle macchine fanno da tema principale a questa serie antologica. Ogni episodio è autoconclusivo, ma tutto finisce per essere inevitabilmente collegato.
Il mio rapporto con Black Mirror è particolare, è fatto di odio e di amore e ogni visione mi ha lasciato la bocca secca e una grande grandissima enorme ansia. Chi più e chi meno.
Sono fra quelli che sostengono che il passaggio a Netflix (e quindi alla produzione americana) ha cambiato le cose e influito sulla qualità delle storie. Le prime due stagioni inglesi sono di gran lunga superiori alle ultime due che mamma America ha sfornato. Questo non vuole dire che le ultime due facciano schifo, anzi.
Vedere le prime due stagioni è stato quasi impossibile, nonostante fossero soltanto 7 episodi in totale. Alla fine di ogni episodio l’amarezza e la sofferenza mi schiacciavano tanto che era impossibile vederne anche solo due di fila.
Dopo “Be right back”, puntata che racconta la morte di un ragazzo e la fidanzata che finisce per innamorarsi di un clone robotico del defunto finché tutto non degenera, ho aspettato un anno prima di voler anche solo sentire parlare di "Black Mirror".
Poi c’è stato l’approdo su Netflix e qualcosa è cambiato. Terza e quarta stagione contano più episodi e il primo pensiero è stato “oddio come farò a sopravvivere”. Invece, un po’ a sorpresa, l’effetto è stato diverso. Quasi come fosse entrata in gioco una sorta di abitudine all’amarezza e al cinismo. Una sensazione abbastanza spiacevole in effetti.
È così che "Black Mirror" inizia ad abbassare la voce nella terza stagione, fatta eccezione per qualche picco di devastante intensità (“Shut up and dance”) e inserisce quel filo di positività che non ci si aspetta da Black Mirror (“San Junipero”) perché nessuno ci ha mai abituato a nessun genere di lieto fine. E mantiene questo tono anche con la quarta stagione dove il gioco è più o meno lo stesso. Le puntate sono quasi tutte belle, ma non hanno più segreti. Sai cosa aspettarti e forse è proprio questo che spaventa perché non è chiaro se il motivo sia che ci siamo abituati a pensare al peggio o se sia solo colpa di una produzione più scarsa. Niente più sconvolgimento che ti allontana dalla visione e gli episodi sono affrontabili in brevi tempi. C’è ancora l’ansia, ma non quella sofferenza che ti fa dire “vi prego basta”.
Resta il fatto che "Black Mirror" è davvero lo specchio nero di una società che è già nera, che non ci lascia quasi più speranze e dove continuare a cercare disperatamente di trovare qualcosa di buono sta diventando sempre più difficile. Siamo davanti alla rappresentazione di una evoluzione tecnologica di quello che Orwell ci aveva già raccontato nel 1949 in “1984”. E questo fa paura. Fa paura sapere come finirà la puntata e fa paura tirare un sospiro di sollievo alla fine di “Black Museum” pensando che, da qualche parte, una qualche forma di giustizia e di liberazione è possibile.
Bisogna solo aspettare che arrivi, oltre lo specchio.
PS: e sì, penso che “Black Museum” sia la perfetta conclusione quindi se non ci sarà una quinta stagione per me andrà bene così. Tra l’altro una delle migliori puntate per intensità e realizzazione. Geniale, davvero. Una puntata matrioska che regala il percorso e i collegamenti fra tutte le precedenti. GE-NIA-LE.
© Giulia Cristofori