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James è per sua stessa ammissione uno psicopatico. L’espressione costantemente placida e indifferente nasconde oscure pulsioni omicide e l’incapacità di reagire emotivamente ad alcunché. Alyssa allontana da sé chiunque abbia intorno con i suoi modi cinici e spassosamente sgarbati. Hanno entrambi 17 anni e paura di qualcosa, anzi, di tante cose. In primo luogo, di diventare “i grandi” che tanto disprezzano.
James ed Alyssa sono i due protagonisti di “The end of the f***ing world”, nuova serie approdata in casa Netflix all’inizio dell’anno e che in brevissimo tempo è riuscita a conquistarsi il favore degli spettatori, candidandosi in netto anticipo a diventare una delle migliori serie di questo neonato 2018.
Ma cosa rende così speciale “The end of the f***ing world”?
I meccanismi sono quelli del classico racconto di formazione e del road movie, ma qualcosa, ad un certo punto (praticamente dopo i primi 3 minuti del primissimo episodio) si inceppa.
La crescita verso cui vanno incontro i due protagonisti non è assolutamente funzionale all’ingresso nel mondo adulto, tutt’altro. I riti di passaggio che si trovano ad affrontare, la maggior parte dei quali ha a che fare con la legge, o meglio, con l’infrangere la legge, non faranno altro che scavare un solco sempre più profondo fra “loro” e “gli altri”, che è pressoché il resto del f***ing mondo.
Ma questo movimento eccentrico rispetto alla società è opposto a quello che permetterà ad Alyssa e James di uscire fuori dai loro gusci di insicurezze, paure e speranze mal riposte spingendoli sempre più vicini tra loro. E saranno soli, sì, ma soli assieme.
Le ancore di salvezza che pensavano di aver individuato nella realtà che li circonda si dimostreranno deludenti e inconsistenti. Se da parte di Alyssa c’è il desiderio di ricongiungersi con il padre assente da una vita intera, modello idealizzato e stella polare che guiderà il loro viaggio, James vede nell’omicidio di un essere umano l’unica via di uscita dalla sua apatia. Come già detto, le cose non andranno secondo i loro piani.
Di grande impatto è l’azzeccatissima colonna sonora originale che accompagna quasi per intero la narrazione sottolineandone i passaggi o aiutando a comprendere lo stato d’animo dei personaggi. Ah, e come dimenticare le voci fuori campo dei due ragazzi che funzionano da finestra attraverso cui assistiamo alla loro autentica vita interiore, fatta di dubbi, timori e incertezze. Geniale!
Il senso della serie risiede in ciò che la ragazza dice ad un certo punto dell’ultimo episodio, come se volesse offrirci una chiave di lettura “le persone non sono risposte. Le persone sono domande in più”. E forse James costituisce per Alyssa, e Alyssa per James, la giusta domanda, la giusta occasione, la giusta persona per affrontare un mondo alla fine del mondo.
Ma per tutti gli altri valga questa, di domanda: cosa state aspettando a guardare “The end of the f***ing world”?
© Marco Patrito