La prima stagione della serie racconta in 12 episodi la storia di Doron Kavillio, il comandante di un'unità speciale del militare israeliano, come dà la caccia al terrorista palestinese Abu Ahmad. Ho cominciato a guardarla con un certo scetticismo. In parte era giustificato, in parte no. Il progetto è stato realizzato con un budget limitatissimo (circa 24.000 Euro) e purtroppo si nota. La color è accettabile, ma la cinematografia e le inquadrature potrebbero essere migliori. La colonna sonora è la solita pasta e gli effetti digitali sono pessimi.
Il problema fondamentale dell'argomento che viene trattato, il conflitto Israele/Palestina, soprattutto se viene elaborato da una delle parti coinvolte, è l'ambiguità di esso. Si tratta, in effetti, del conflitto politico e bellico più complesso e inoltre tipico per i tempi in cui stiamo vivendo, essendo un rudimento forzato del colonialismo europeo ovvero dell'impero britannico. Al popolo palestinese è stato fatto un torto imperdonabile e disumano che viene mantenuto tramite la pura violenza fisica e una politica espansiva da parte dell'Israele. Tutto ciò non viene elaborato dalla storia di “Fauda” (che significa “caos” in arabo) e le ragioni del conflitto non vengono spiegate neanche minimamente. Invece si parte dal presupposto che il Paese degli ebrei bisognerebbe essere difeso dai terroristi arabi che sarebbero semplicemente cattivi, senza alcuna volontà di spiegare le posizioni delle due parti. Ciò riguarda lo sfondo storico e politico. Al riguardo invece della struttura della storia – considerando anche i fondi economici limitati – “Fauda” è una serie molto valida. I dialoghi sono scritti benissimo. È un piacere ascoltarli ed è pure piacevole ascoltare due lingue non europee per la durata di 12 ore per una volta (tranne l'eccezione di qualche parola in francese).
Nonostante la dimenticanza delle fonti storiche e politiche, “Fauda” si distingue fondamentalmente dalle serie e i film di guerra americane e europee per via del fatto che è stata scritta e prodotta indipendentemente proprio nella zona dove si svolge attualmente il conflitto.
Questa circostanza è onnipresente e traspira in ogni scena. Gli autori e i registi Avi Issacharoff e Lior Raz sanno di che cosa parlano e non ci risparmiano la brutalità e il condizionamento della guerra e in tutto questo si impegnano comunque a dipingere un ritratto umano e realistico anche dei personaggi palestinesi.
L'unico aspetto che stona profondamente invece sono i personaggi femminili, indipendentemente dalla loro nazionalità. I loro ruoli sono insignificanti e la loro unica ragione consiste nel servire ai maschi e ai loro obiettivi. La loro resistenza si riferisce esclusivamente ad un contesto privato e sessuale e la circostanza più sconcertante è che la guerra sembrerebbe che sia sempre una buona scusa per rimorchiarle. Prima le vengono imposti la violenza e il caos per poi ricordarle che avrebbero bisogno di essere protette. Si tratta di un concetto ancora più antico della rivoluzione neolitica, ma finché i maschi non smetteranno di “risolvere” i loro conflitti con le armi e finché le femmine non smetteranno di sostenerli in ciò che combinano, non si uscirà da questo circolo vizioso.
Se due membri di un gruppo di persone cominciano a litigare, le altre hanno tre opzioni: prendere una posizione, ignorare o conciliare. Il conflitto tra la Palestina e l'Israele è un tipico caso delle prime due varianti. Mentre alcuni Stati cercano di sfruttarlo per i propri interessi, una gran parte degli altri semplicemente lo ignora, pensando che non li riguardi. Le poche persone e i pochi Paesi che hanno veramente cercato di mediare sono stati aggrediti e azzittiti.
“Fauda” sarebbe stata una possibilità per avviare il discorso tra i cittadini su tutti e due i lati, ma i registi e gli scrittori non ne hanno usufruito. Molto probabilmente perché anche per loro che hanno comunque realizzato una serie coraggiosa ci saranno delle regole politiche che non possono essere infrante senza subirne le conseguenze. Queste ultime consisterebbero nella negazione dell'accesso ad una piattaforma per la vendita – e a quella non può rinunciare nessuno. Neanche se il progetto è stato prodotto con soli 24.000 Euro.
© Patrick Mattarelli