Stranger Things | Stagione 3

Stranger Things | Stagione 3

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La banda di Hawkins è tornata e non nascondo che la aspettavo con la giusta quantità di ansia che il “fenomeno Stranger Things” richiede.
Mi ero ripromessa che non avrei divorato questa terza stagione perché altrimenti sarebbe finita subito. E invece.

Stranger Things” incolla alla sedia e non ti lascia andare finché non hai prosciugato gli episodi. Penso sia la serie TV che più ti rende schiavo del binge watching.

Questi adorabili mocciosi sono tornati e mi erano mancati come non mai. 
Da qua in poi potrebbe esserci qualche piccolo spoiler per chi non avesse mai visto la serie!

Dicevo, eravamo rimasti al ballo della scuola con il Mind Flyer che si stagliava all’orizzonte e ci lasciava presagire che il futuro non ci riservava nulla di buono. 

Ritorniamo ad Hawkins e ci troviamo un nuovissimo centro commerciale, lo “Starcourt Mall” che diventa il luogo di incontro dei nostri adorabili beniamini che hanno un po’ accantonato le partite a D&D e le sbiciclettate nei boschi.
Mike, Will, Lucas, Dustin, Max e Eleven sono infatti inevitabilmente cresciuti. 


Uno dei punti forti di questa stagione che, in effetti, mostra cose trite e ritrite e già viste e straviste, è lo sviluppo delle storie dei ragazzi con i loro problemi di cuore e gli sviluppi di nuove amicizie. La parte sentimentale insomma.

I fili narrativi sono tanti, ma tutti connessi tra loro con grande capacità di scrittura (certo, qualche buco narrativo che fa storcere il naso qua e là c’è, per carità). Resta il fatto che anche questa stagione, nel complesso, funziona. Io l’ho trovata anche più dinamica della seconda.

Il potere e il fascino degli anni ‘80 continuano insormontabili, ineluttabili.

E se ad ogni frame sei praticamente sicuro della piega che prende la storia, rimani comunque felice davanti allo schermo specialmente in quelle scene dove Eleven si prova tutti quei vestiti coloratissimi sulle note di “Material Girl” di Madonna o dove Hopper si scola una bottiglia di Chianti durante una buca clamorosa di Joyce al ristorante.


Quel che funziona di queste storie è l’empatia che si crea fra noi e questi ragazzi che tanto ci ricordano la nostra infanzia fatta di biciclette, giochi da tavolo, gelati al centro commerciale e i primi pomeriggi di shopping con le amiche. 

La parte misteriosa invece lascia un po’ a desiderare in questa stagione: il Mind Flyer è veramente brutto (nel senso che è osceno dai, quella gelatina che sbava e aumenta inglobando le persone) e dei topi che esplodono ne facevamo volentieri a meno. Il Demogorgone era bello al confronto. 

Poi i russi, i campi elettromagnetici, gli ascensori che vanno metri e metri sottoterra...li abbiamo già visti suvvia.

Resta il fatto che la love story fra Mike e Eleven, i capricci di papà Hopper che vuole la porta aperta di 10 cm per controllarli, Joyce che insegna come fare discorsi motivazionali ai figli e Dustin che canta via radio alla sua fidanzatina Suzie conosciuta durante le vacanze sono il vero collante di “Stranger Things”.

Che riesce a farci piangere e ridere, nonostante tutto.



La solita menzione d’onore va fatta a tutto il cast per le doti attoriali, perché se Winona Ryder era una certezza fin dall’inizio, non potevamo di certo sapere che questi ragazzini si sarebbero rivelati così incredibili, specialmente Millie Bobby Brown che a soli 15 anni sparecchia il tavolo di Hollywood. New entry del cast è Maya Hawke (figlia di Ethan Hawke e Uma Thruman) nei panni di Robin, collega di Steve che si rivela un personaggio molto interessante e spero ci regali molto altro nelle nuove stagioni.

Mi fa tremare il pensiero che probabilmente ci saranno altre mille stagioni in balia di un successo che ancora pare inarrestabile. 

Sono consapevole che la qualità e già diminuita e non può che diminuire ancora se si tira troppo per le lunghe. Eppure ne voglio ancora, perché io personalmente non sono ancora pronta a dire addio ad Hawkins.

© Giulia Cristofori

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