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Jeff Bauman è un giovane uomo, spensierato e sempre con il sorriso.
Pur con dei tentennamenti nella sua relazione con Erin decide di stupirla assistendo alla maratona di Boston a cui la donna partecipa. Per l'occasione l'attende al traguardo con un cartello ma la sorte rò gli sarà decisamente avversa: due ordigni esploderanno lasciandolo inerme a terra, senza le gambe. Da qui ha inizio la nostra storia. Una storia che parla di riabilitazione ma soprattutto di fantasmi da combattere per non lasciare che monopolizzino la testa e distruggano il futuro.
Per mostrarci da vicino il disturbo post-traumatico di Jeff, il film ci costringe a guardare con occhi spalancati quanto accaduto. Inizialmente le riprese sono caotiche, nebulose, confuse. È accaduto qualcosa ma non sappiamo subito cosa perché lo vediamo attraverso lo sguardo di Erin, abbastanza lontana dall'attentato. Successivamente ci ritroviamo a cogliere il punto di vista di Jeff, decisamente più esasperato e privo di pace, che ci spinge in un tunnel buio, alla ricerca spasmodica della luce.
Erin, interpretata da Tatiana Maslany, è un personaggio chiave: è il motore che spinge Jeff a riprendersi, per cui è un sostegno ma anche fonte di sfida. Rappresenta la scossa di cui ha bisogno, l'amore, l'amica, la confidente. Tatiana è intensa nella sua interpretazione, impeccabile e disperatamente umana. Lascia il segno e riesce a regalare emozioni totalizzanti.
Tra le lacrime Erin e Jeff vivono una relazione profonda costruita mattone dopo mattone, duramente, con fatica ma proprio per questo autentica.
Jake in un'intervista ha dichiarato di aver avuto paura di non riuscirci, di aver temuto che la propria recitazione in questo caso fosse carente, poco autentica, falsa. Invece buca lo schermo, è una tenaglia che soffoca lo spettatore fino al termine della storia.
Amo questo attore fin dai tempi di “Donnie Darko”, soprattutto per la sua propensione a scegliere dei ruoli crudi, complessi, enigmatici, talvolta anche molto disturbanti.
Non percorre strade semplici o già battute; sperimenta senza sosta, si spinge al limite e questo gli porta sempre grandi risultati. Tramite un'interpretazione molto intima ed emotiva, porta a galla ogni problema che la disabilità impone agli individui dal punto di vista fisico e soprattutto morale e mostra, nel contempo, il cammino impervio verso la risoluzione di conflitti interiori ed esteriori universali, che ciascuno è chiamato dalla vita a imboccare con tenacia.
La pellicola è spietata nelle sue scene, non lascia nulla all'immaginazione. È struggente, tragica, non ci risparmia il sangue, le sfuriate, i drammi. “Stronger- Io sono più forte” graffia la pelle, i muscoli e scende a fondo, fino a ferirci dentro.
Ci traumatizza con le scene scomode, in cui Jeff è in una pozza scarlatta, trasportato via dai soccorsi, con ciò che resta delle ossa, delle gambe a vista. Ci fa male in tutti i sensi, ma è incisivo ed emblematico: tramite questo dolore ci costringe a capire che c'è sempre un nuovo inizio, per quanto sembri grande l'ostacolo lungo il cammino.
© Federica Forlini