Perché siamo così legati al Natale e affascinati dalla sua atmosfera? Perché non avvertiamo lo stesso calore, che so, a Pasqua o a Ferragosto ?
C’è un momento nella vita in cui il bambino che è in te inizia ad essere sommerso dai macigni dei problemi. Quel momento coincide con la prima volta che ti lasci alle spalle la porta di casa e vai a vivere da sola. Le responsabilità si sommano al caos, spingi il bambino sempre più in basso finchè finisci per non sentire più l’atmosfera natalizia, per smarrire l’odore buono di quei fritti di cavolfiore e del timballo che tua nonna preparava da una settimana prima di Natale, lo sguardo meravigliato e divertito che avevi a cinque anni davanti a tua madre che addobbava l’albero cantando “Tu scendi dalle stelle” e a tuo padre, intonato come un martello pneumatico alla Corrida, che cercava di andarle dietro.
Li smarrisci per eccesso di velocità, a un certo punto credi anche di riuscire a soppiantarli con degli effetti placebo, con delle emozioni usa e getta che durano il tempo di una lucina comprata dai cinesi per il tuo mini albero nel tuo mini appartamento di 40 mq in affitto.
Ma niente, le caldarroste agli angoli delle strade di Roma non saranno mai come QUEL fritto di cavolfiori, le luci in via del Corso non saranno mai come quelle che tua madre sistemava tra i rami di QUELL’ albero che sembrava così alto quando avevi cinque anni.
Perché, quindi, il Natale riveste l’alta carica di Re delle Feste?
Semplice.
Perché il Natale è attesa, preparazione, una preparazione lunga mesi, è ritorno. Il Natale è il ricordo che si fa ritorno. Del tuo io bambino, in quel posto chiamato casa, poco importa se dei tuoi genitori oppure no. Un abbraccio alle persone che ami e la seienne che è in te inizia a correre facendo l’aeroplanino.
Il bello del Natale è proprio questo, il suo essere insieme unione e individualità, festa collettiva ed emozione privata.
Come la musica, le note son le stesse per tutti. Dentro, però, puoi leggerci ciò che vuoi, agganciarci i ricordi che preferisci e vederci mondi che sono tuoi e soltanto tuoi.
Qualche settimana fa, per motivi di studio, ho ripreso tra le mani un flauto di legno simile a quello che suonavo alle medie. Ero già in pieno mood natalizio, tutta presa dalla scelta dei regali per le mie amiche. Ebbene, dopo i primi attimi di “uhh è vero, ‘sto coso faceva uscire sempre quantità di saliva che manco un lama”, ho iniziato a suonare pensando di non produrre nient’altro che fischi. Invece mi sono ritrovata, con mia grande sorpresa, ad eseguire la melodia della colonna sonora di “Mamma ho perso l’aereo”.
Le mani hanno memoria, sono puro istinto, un ricordo che ritorna. Quando mi è stato chiesto poi quale fosse il mio film per la rubrica di CrunchEd, il collegamento tra “Mamma ho perso l’aereo” e il mio Natale è stato immediato.
Odore di fritti di cavolfiori nell’aria, mamma che addobbava l’albero in salotto cantando “Tu scendi dalle stelle”, mio padre/trattore che cercava di andarle dietro con la voce, io sdraiata con il pigiama sul tappeto a guardare in tv le avventure di Kevin Mc Callister.
La storia la conosciamo tutti, credo (anzi, voglio sperare) che chiunque almeno una volta nella vita abbia visto “Mamma ho perso l’aereo” (“Home alone” in versione originale. Ancora una volta: perché smostrare i titoli dei film stranieri? Perché?). Ma per i più smemorati facciamo un ripasso.
Chicago, pochi giorni al Natale. La numerosa - e chiassosa - famiglia Mc Callister è in procinto di partire per Parigi per passare le feste insieme a tutti i parenti. La mattina del volo, però, Kate e Peter Mc Callister (Cathrine O’Hara e John Heard) si svegliano in ritardo di soprassalto, convinti di non riuscire a fare in tempo a preparare tutte le valigie e a prendere l’aereo. Iniziano così a volare maglioni, urla, nipoti e zii su e giù per le scale e tra i corridoi di casa. Kevin (la star in decadenza Macaulay Culkin. Che finaccia, Macau'), sette anni, il più piccolo della famiglia, è un bambino furbetto, pestifero e dalla battuta pronta, vorrebbe rendersi utile in quel marasma generale ma viene completamente vessato dai fratelli e dai cugini più grandi che gli danno dell’incompetente (credo di aver iniziato a odiare il francese la prima volta che ho sentito la cugina di Kevin dirgli "tu sei quello che i francesi chiamano 'les incompetent'").
A preparativi ultimati – e con un aereo in partenza – la famiglia Mc Callister si raduna così in giardino davanti al pullmino e parte alla volta dell’aeroporto, in una corsa contro il tempo e contro la lista delle cose in valigia che li porterà ad una atroce consapevolezza. Kevin è stato dimenticato a casa!
Dopo i primi attimi di smarrimento senza genitori, il piccolo Kevin realizza di avere a disposizione, finalmente, tutta la villa per sé, senza parenti che non lo ascoltano e non gli permettono di stare sveglio fino a tardi, senza fratelli più grandi né cugini che lo prendono in giro.
E cosa potrà mai fare un bambino di sette anni solo in casa? Tutto ciò che la fantasia gli suggerisce: mangiare coppe di gelato più grandi della sua faccia davanti alla tv accesa su un film violento, andare a fare la spesa per comprare dolciumi proibiti, scendere con lo slittino sulle scale per arrivare fino al giardino uscendo dalla porta principale.
All’inizio il nostro Kevin si diverte molto, poi comincia a preoccuparsi quando si accorge che proprio nei dintorni della sua casa si aggirano Harry e Marv (Daniel Stern e un giovane Joe Pesci), due ladruncoli intenzionati a svaligiare tutte le ville del quartiere. Inizia così il piano diabolico di Kevin per evitare che i due malviventi entrino in casa, fermandoli con trappole, fiamme ossidriche sulle porte, pomelli arroventati e chi più ne ha, più ne metta.
Uscito nel 1990, “Mamma ho perso l’aereo” è diventata subito una commedia cult dagli incassi più alti nella storia del cinema comedy statunitense, catapultando Macaulay Culkin nell’olimpo degli attori più pagati del mondo a soli 9 anni. Un record di incassi rimasto imbattuto fino addirittura al 2011, anno di uscita di “Una notte da leoni 2”. All’epoca, il successo del film fu talmente imponente da “costringere” il regista Chris Columbus a girare un seguito (“Mamma ho riperso l’aereo – Mi sono smarrito a New York”) nel 1992, innescando una reazione a catena nell’industria cinematografica americana che cominciò a produrre film sulla stessa scia di “Home alone”, dalla trama simile ma di fattura minore (basti citare lo scadente “Mamma, ho preso il morbillo”).
Certo, la trama di “Mamma ho perso l’aereo” è piuttosto semplice e ricalca a grandi linee i plot delle kid comedy degli anni precedenti. Cos’è allora che rende questo film così intramontabile?
Semplice, Kevin esaudisce su schermo i desideri di ogni bambino. Il regista Chris Columbus e lo sceneggiatore John Hughes mettono in pratica tutta la loro esperienza e la loro maestria acquisita nella realizzazione di altri cult dell’infanzia come “Gremlins” e “I Goonies”, facendo fare a Kevin esattamente quello che un bambino farebbe da solo in casa, dalle abbuffate di gelato, al mettersi il dopobarba del padre, allo sparare per dispetto con il fucile a pallettoni sui soldatini del fratello grande.
Quando hai sei anni e ti senti piccolo in un mondo di giganti senza orecchie, il tuo primo pensiero è proprio quello: “voglio stare da sola e fare le cose dei grandi”. Così un bambino biondo in tv che realizza i tuoi pensieri diventa il tuo eroe, inizi a fare il tifo per lui e a immedesimarti al punto di voler emulare le sue gesta nella vita reale.
Nella mia di vita da seienne, non c’era una villa da difendere ma un fortino che mi ero costruita sotto al letto, con tanto di torcia/abat jour, pila di Topolino e pacchetto di cracker di sopravvivenza. Fortunatamente non c’erano nemmeno ladri ma una povera malcapitata babysitter che per me e mio fratello aveva la stessa valenza di un adulto che irrompe per rubarti i giochi e far finire la festa.
No, non preoccupatevi per la sorte della tata, non è finita coi capelli bruciati o con la schiena a pezzi dopo una caduta sulle macchinine. Si è solo punta i piedi con i mattoncini Lego una volta uscita dalla doccia ed è solo rimasta chiusa fuori al balcone per tutta la mattinata. (Stefania, se mi stai leggendo e sei lì fuori viva e non in un istituto psichiatrico, scusa).
Il Natale è come la musica, un’emozione collettiva in cui ognuno può vedere un mondo che è solo suo. Il mio è fatto di odore di fritto di cavolfiore e di timballo, di un albero addobbato cantando e stonando da mamma usignolo e papà trattore, di me sul tappeto a sognare di mangiare quintali di gelato anche a Natale e di scendere con lo slittino sulle scale del palazzo.
Ora scusatemi, vado ad aprire il balcone per liberare mia cugina.
Tanti Auguri di Buon Natale! (Soprattutto a Stefania)
© Isabella Di Bartolomeo