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Qualche mese fa, quando ho visto per la prima volta i cartelloni del nuovo film di Ben Hur, sapevo a cosa sarei andato incontro.
A Hollywood, in questi ultimi anni, l’usanza del remake è piuttosto diffusa e i pessimi risultati fioccano come neve sulle cime alpine. Dentro di me, però, conservavo la lieve speranza di vedere un film che senza troppe pretese riproponesse al pubblico la storia di Giuda Ben Hur secondo gli standard attuali.
Questo film lo ha fatto. Lo ha fatto fin troppo bene.
Partiamo dal presupposto che Ben Hur, il film del 1959, è uno più premiati della storia del cinema (11 oscar che per l’epoca in cui venivano assegnati, con grande cognizione di causa, valgono doppio). Ricordiamo poi che la trama non era delle più leggere e la sua durata (più di tre ore) risulta ormai proibitiva per il business del grande schermo.
Non siamo obbligati a paragonare il film vecchio con quello nuovo ma essendo io un nostalgico, il confronto è inevitabile.
Partiamo dall’intreccio che, a una rapida occhiata, rispetta abbastanza il libro di Wallace (da cui tutti i film su Ben Hur sono tratti). Giudea, I secolo a.C. Giuda Ben Hur (Jack Huston) è un principe ebreo che ha un fratellastro adottato, Messala (Toby Kebbell), il quale è di origine romana. I due crescono assieme fino a quando il giovane romano decide di cercare fortuna nell’esercito. Anni dopo torna a Gerusalemme per sedare la rivolta degli Zeloti (ribelli ebrei che vorrebbero scacciare i romani dalla Giudea). Il governatore Ponzio Pilato subisce un attentato e Ben Hur viene ritenuto colpevole dal fratellastro. Per questo viene spedito in schiavitù alle galee dove rimarrà per cinque anni. Dopo un naufragio incontra lo sceicco Ilderim (Morgan Freeman) che lo aiuta a ottenere vendetta su Messala nel circo di Gerusalemme, in una corsa con le quadrighe.
Il film, da un lato risulta avere una buona fotografia ed una buona cura di costumi e scenografia, dall’altra viene interpretato e girato al limite della soap opera, trasformando la storia di Giuda Ben Hur in un pastrocchio senza capo nè coda.
La prima cosa che balza all’occhio è la parentela tra i due protagonisti: cosa spinga un nobile giudeo ad adottare un orfano romano non ci è dato saperlo e lascia un interrogativo senza aggiungere spessore alla trama.
Segue poi la presenza femminile nelle persone della sorella di Giuda, Tirzah, innamorata di Messala e una schiava della casa, Esther, innamorata del nostro protagonista. Hollywood ci ha ormai abituati all’aggiunta di inutili trame romantiche ma qui il cast femminile è inserito praticamente per farcire le scene di battutine e primi piani inespressivi. La trama cristiana, parte fondante del film e del libro, viene trattata quasi come un cammeo, con Gesù che si muove e predica per le strade di Gerusalemme senza evidenti motivi. Non è rispettato neanche l’espediente migliore del 1959 che consisteva nel non mostrare mai il viso del messia, lasciando all’interpretazione del protagonista (in quel caso Charlton Heston) il compito di trasmettere il turbine di emozioni che Ben Hur prova ogni volta che si trova a contatto “con la storia delle storie”.
I romani vengono dipinti come delle macchiette, cattivi sanguinari e brutali, figure che ci saremmo aspettati forse negli anni Cinquanta ma che al giorno d’oggi risultano antagonisti piatti e senza spessore.
Tutto questo, unito a dialoghi imbarazzanti e recitazioni mediocri, affossa un film che sicuramente era difficile da affrontare ma poteva essere realizzato molto meglio.
Insomma come avrete capito questo ennesimo tentativo di svecchiare un film cult del passato è stato un fallimento totale. Nemmeno le meravigliose scenografie dei sassi di Matera hanno salvato la visione che, per fortuna, dura solo due ore.
Un consiglio? Statene alla larga!
© Marco Castelletti