"A wild longing for strong emotions and sensations seethes in me, a rage against this toneless, flat, normal and sterile life." Herman Hesse
Il Giappone si sa, trova sempre un modo per stupirci, insinuarsi dolcemente, invitarci alla riflessione e al cambiamento. Ebbene, nel mare magnum dell'arte e della filosofia nipponica esiste una tecnica tradizionale particolarmente suggestiva chiamata "kintsugi", letteralmente unione di “oro” (kin) e “riunire” (tsugi). Questa antica pratica prevede l’utilizzo di materiali preziosi (oro, appunto, ma anche argento o lacca con polvere d’oro) come collante per ricongiungere i frammenti di un oggetto in ceramica rotto. Spaccature, ferite e fratture in questo modo vengono rese preziose divenendo una bellezza da mostrare e non più da nascondere, una possibilità di rinascita.
Per il quadrato di oggi mordiamo l'arte di Ilaria Apostoli, illustratrice dall'istinto puro e dalla creatività indomabile, fuori dagli "schemi scolastici". Un'artista che inconsciamente ha fatto suo il concetto di kintsugi giapponese, non ha paura di dare una forma concreta ai suoi pensieri e di riempire di colore il suo dolore proprio per tentare di capirlo e superarlo.
Onorati del suo quadrato catartico, abbiamo rivolto ad Ilaria qualche domanda:
Ciao Ilaria, benvenuta tra i morsi quadrati! Noi di CrunchEd siamo molto affamati di nuove storie e ci piacerebbe conoscere la tua. Quando hai cominciato a disegnare e cosa ti ha spinto a farlo?
La risposta potrebbe essere quella banale del “disegno da sempre”, perché oltre che banale è anche vera. Da dire, però, che ho iniziato a dedicarmi con costanza all’illustrazione e al fumetto solo da un paio d’anni, da quando insomma mi sono convinta che servisse un approccio più professionale e meno dettato dall’ispirazione del momento.
Credo che la spinta di fondo sia la stessa per tutti, cercare di esprimersi con gli altri o solo con se stessi. Non sono mai stata brava a parlare, o quanto meno parlando non sono mai riuscita a far passare ciò che volevo. Al contrario mi è sempre piaciuto sia scrivere che disegnare,perché sono attività con una tempistica e una solidità molto diversa dal discorso verbale.
I tuoi disegni sono spesso pieni di cinismo, rassegnazione e insofferenza. Credi che l’arte possa essere una forma di terapia e che possa, parafrasando Schopenhauer, essere l’unico modo per sfuggire al dolore?
Non credo si possa sfuggire. Anzi, a dire il vero non penso che si debba. Al giorno d’oggi siamo arrivati ad una eccessiva demonizzazione del dolore, ci siamo dimenticati di quanto invece sia qualcosa di naturale. In realtà potremmo estendere il discorso a tutta la sfera emotiva in generale. Io per prima tendo a scappare a gambe levate o a lasciarmi sopraffare, senza mezze misure. Pare quasi che il terrore più grande sia che assumendo un atteggiamento più critico potremmo essere costretti a riflettere su noi stessi, magari scoprendo cose non proprio gradevoli sul nostro conto: più deboli di quel che abbiamo sempre creduto, più rabbiosi, più ipocriti…Fare “arte” per me è un modo per evitare di perdere il controllo e rimanere con i piedi per terra, perché si tratta di visualizzare fisicamente ciò che provo e in qualche modo avere un’occasione in più per capirlo. Non desidero affatto che i miei lavori rimandino ad un’immagine di “arrendevolezza”, perché mai quanto nel disegno sento di star reagendo e non subendo.
Sfogliando i tuoi lavori abbiamo notato diverse fonti d’ispirazione legate al mondo dell’arte, della letteratura come T.S. Elliot e Virginia Woolf ma anche al mondo più “profano” delle serie tv come Game Of Thrones e The Walking Dead. Da cosa trai maggiormente ispirazione? C’è un autore in particolare che ha illuminato o illumina le tue opere?
La letteratura è sicuramente la fonte primaria d’ispirazione. Come detto prima scrittura e disegno sono sempre stati i punti focali della mia vita, conciliati poi nell’interesse per il fumetto. Anche il mondo della moda ha avuto un ruolo decisivo, per certi tipi di linee e forme che tento di inserire nei miei lavori. Cerco di prendere ispirazione da campi lontani dall’illustrazione perché non voglio ritrovarmi incanalata in una corrente o uno stile troppo definiti (che è anche uno dei motivi per cui non ho frequentato scuole del fumetto). Per quanto riguarda le “profanità” è stato un esperimento molto breve, nel tentativo di aumentare la risposta del pubblico. Principalmente perché le piattaforme online (per non dire l’umanità in generale) puntano sulla velocità e le mie, per quanto estetiche, sono illustrazioni con delle chiavi di lettura che non si apprezzano immediatamente. Da qui il tentativo di puntare su serie tv e simili, forse più abbordabili. Un esperimento che non credo ripeterò, ho ottenuto più attenzione immediata ma a lungo termine preferisco costruire la mia immagine artistica solo su contenuti originali, che abbiano un significato più profondo. Almeno per me.
Domanda irrinunciabile per il palato di CrunchEd: qual è il tuo rapporto con la musica e quali vie sceglie per farsi strada fino ai tuoi disegni?
La musica è quasi sempre presente mentre lavoro, soprattutto nelle prime fasi della mattinata che di solito dedico al disegno dal vero o al brainstorming. Quando devo scrivere o buttare giù degli storyboard definitivi, invece, preferisco il silenzio.
Molti i progetti che abbiamo visto, dall’illustrazione per il libro "Woolf Zine", zine inglese su Virginia Woolf, alla collaborazione con la Manticora Autoproduzioni di Bologna in veste di illustratrice del mese di Agosto per il calendario di Maison Lalà. Quali progetti ti riserva il futuro? A cosa stai lavorando?
Diverse collaborazioni di cui per adesso non posso dare dettagli e che emergeranno durante l’anno. Per quanto riguarda i progetti personali ho finito da pochi giorni la scrittura definitiva di una graphic novel che esplorerà la dimensione della solitudine, ma in maniera positiva, perché sono un po’ stanca dei soliti pregiudizi sullo stare soli.
Grazie Ilaria, a presto!
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