#crunch235 | Diego Gabriele

#crunch235 | Diego Gabriele

“Reality is that which, when you stop believing in it, doesn't go away.” 
Philip K. Dick, I Hope I Shall Arrive Soon

Ciao Diego e benvenuto tra i morsi quadrati! 
Noi di CrunchEd siamo molto affamati di nuove storie e ci piacerebbe conoscere la tua. Quando hai cominciato a disegnare e cosa ti ha spinto a farlo? 

Ciao a tutti. Come ho iniziato? Non è proprio una storia allegra, ma ve la racconto. Quando ero bambino non disegnavo, non mi piaceva disegnare, trovavo tutte le scuse possibili per non farlo. Poi quando avevo 11 anni, dopo la morte di mio fratello maggiore in un incidente stradale, ebbi una febbre altissima, durante la notte. Il giorno dopo chiesi un quaderno a mia madre e da quel momento non ho più smesso di disegnare. 

All’inizio avevo bisogno di raccontare storie, di raccontare quello che provavo. Così mi sono avvicinato al fumetto, lo trovavo più congeniale al mio scopo. A 23 anni ho capito che la mia strada era la pittura, questa mi permetteva davvero di esprimermi: i supporti grandi erano perfetti potendo reggere tutta l’aggressività del gesto che avevo all’epoca. 



Ti va di spiegarci cosa ti ha portato a scegliere questa citazione da illustrare?

In questo periodo sono molto interessato al fenomeno delle sincronicità e la frase di Philip K. Dick è molto vicina alla mia ricerca attuale: sto studiando cos’è l’immaginazione, quindi anche ciò che è reale e ciò che non lo è, e ancora come l’immaginazione influenza la nostra realtà, la nostra personalità e come viene percepita dal cervello.


I volti dei tuoi personaggi sono riconoscibili nei tratti, nella forma degli occhi e del viso, come fossero imparentati gli uni con gli altri. Come sei approdato a questa modalità di disegno? I tuoi soggetti hanno sempre avuto questa tendenza o sono mutati nel tempo?

Come ti dicevo nasco dal fumetto e inizialmente mischiavo uno stile manga con un tratto più graffiante influenzato dal Fumetto Underground degli anni ‘90. Poi questo mio desiderio di raccontare mi ha portato a una ricerca stilistica diversa in cui il gesto, il tratto e anche il supporto dovevano essere parte integrante del messaggio, così sono arrivato all’attuale tratto.

Per quel che riguarda i soggetti, mi ricordo la prima volta che abbozzai su un Post-it quella che poi sarebbe diventata la mia bimba, all’inizio la chiamavo così. Capì subito che avrei dovuto ritrarla e da quel momento è diventata la protagonista di moltissimi quadri, mi rendo conto che l’aspetto fisico è spesso molto simile, ogni tanto è più giovane, altre volte più adulta, più androgina, ogni tanto è uomo o un mostro, ma l’archetipo iniziale rimane quel primo disegnino. Però racconta sempre storie diverse, cambia di carattere, di personalità: è come se fosse l’attrice di molti film.


C’è un autore in particolare che ha illuminato o che ancora illumina le tue opere? In altre parole, c’è un artista, uno scrittore che ti stimola a mordere la vita?

Sono stati tantissimi gli autori che hanno illuminato la mia ricerca artistica i primi in assoluto sono stati senza alcun dubbio Trevor Brown, Junko Mizuno, Yoshitoshi Abe e Range Murata agli inizi degli anni 2000. 

Fra gli storici Egon Schiele, La Scuola di Parigi degli anni ‘20, Casorati e la pittura italiana degli anni ‘30, ma se dovessi mettere a capo dell’olimpo l’artista che mi ha sconvolto di più in assoluto, questo sarebbe Balthus.

Ci sono anche moltissimi artisti contemporanei che seguo e che apprezzo molto: Soey Milk, Takashi Murakami, Aya Takano, e James Jean.

Quando ho fame mi piace imparare cose nuove, quindi vado alla ricerca di pittori e illustratori, spesso dei primi del novecento (pittori dal tratto seducente), oppure leggo testi filosofici o cerco musicisti da ascoltare.


I soggetti delle tue illustrazioni spesso condividono lo spazio del foglio con lettere, parole, onomatopee. Sono loro a pronunciarle o appartengono a qualcun altro? Queste composizioni accadono spontaneamente o le utilizzi consapevolmente per sottolineare o dare un contesto all’immagine?

Avvengono spontaneamente, solitamente sono frasi che vengono fuori mentre disegno o dipingo. Vi racconto meglio il mio processo creativo: quando mi metto davanti al cavalletto o al foglio faccio finta sempre di avere una persona davanti, come se la stessi ritraendo. A quel punto nasce il dialogo e in alcuni casi vengono fuori quelle frasi, alcune sono pronunciate dal soggetto, altre sono miei pensieri, concetti o piccoli racconti.


Domanda irrinunciabile per il palato di CrunchEd: qual è il tuo rapporto con la musica e quali vie sceglie per farsi strada fino ai tuoi disegni?

Non riuscirei ad immaginare i miei disegni o pitture senza la musica! Non scherzo potrei dirti cosa ascoltavo mentre dipingevo ogni singolo quadro, o perlomeno il genere. A dimostrazione, una serie di quadri che ho dipinto durante il primo lockdown si intitola “Indie Rock dalla Quarantena”. 

Mentre i quadri della serie Disorder e i Tarocchi del Disordine sono un mescolone fra Sonic Youth, Pixies, Battiato, Stefano Landi, Musica Barocca e Tarantella. 

Quadri come le due “Sposa Bambina” nascono interamente da due pezzi della Buona Novella di Fabrizio De Andrè, “L'infanzia di Maria” e “Il sogno di Maria”. 


Chiudiamo con un classicone e, intanto, ti ringraziamo per la disponibilità: progetti futuri? A cos’altro stai lavorando?

Negli ultimi quattro anni ho disegnato i Tarocchi del Disordine; 78 carte in bianco e nero completate proprio qualche giorno fa. Lancerò il progetto per la stampa del mazzo a Ottobre su Kickstarter, e vorrei portare gli originali in tour per l’Italia. 

Ho creato una collezione di t-shirt dedicata alla Danza Macabra che potete trovare sul mio e-commerce www.diegogabriele.it/shop. Fa parte di un progetto più ampio che forse prenderà corpo più avanti.

Infine continuerò a dipingere la serie pittorica Disorder, una serie in cui posso sfogare tutta la ricerca filosofico-spirituale di questo periodo, parteciperò e creerò alcuni eventi in giro per l’Italia.

Grazie Diego!
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