Scritto da Michele Scaccaglia -
- Illustrato da da Daniela Spoto
Coney Island
Il cielo è malato da giorni. Una cappa gialla e torbida impedisce alla luce di filtrare. Gli alberi si muovono come moribondi in cerca di riparo, intossicati dal fumo stagnante. Bruciano i boschi a nord e la nube di veleno è arrivata fin qua. I telegiornali non parlano d’altro. Julio si è svegliato presto per il caldo. È la giornata giusta per andare a pesca. La gente ha paura, non ci sarà nessuno. Steso a pancia in su sul letto, guarda il ventilatore rotto appeso al soffitto. Sua moglie sta dormendo nell’altra stanza insieme al bambino. Abitano in un bilocale fatiscente e col pavimento irregolare, al trentaduesimo piano di un palazzone di periferia. Si alza, raggiunge il bagno attraverso un piccolo corridoio. Si sciacqua la faccia senza guardarsi allo specchio. Si infila un paio di bermuda, una canotta rossa e il cappellino degli Yankees. Beve un sorso di caffè avanzato dalla sera prima, poi si avvicina al letto e sussurra un vamos all’orecchio del bambino, prima di caricarselo in braccio e afferrare l’attrezzatura da pesca.
Sulla metro ci sono due infermiere stanche. Tornano a casa dal turno di notte e non hanno voglia di parlare.
La costa è schiacciata da una nebbia arancione satura di polveri cancerogene.
«Papà, mi brucia la gola».
Il padre fa solo un segno distratto con la testa. Attraversano le vecchie giostre del luna park sulla spiaggia. Tutto è fermo, tranne un paninaro che suda nel suo chiosco di lamiera. Sta scongelando i primi hot dog della giornata. Le mosche ronzano intorno ai dispenser delle salse. Non sono soli sul molo. Una manciata di pescatori si dà da fare con scarsi risultati. Si lamentano dell’aria incandescente e forse è per quello che i pesci non abboccano. Julio ascolta e tace. Tutti quei discorsi sono inutili distrazioni, furbizie tattiche di una guerra tra poveri, pensa. S’impadronisce di un angolo rivolto a est, prepara la canna e solo allora si volta verso il figlio per dargli una carezza. Junior ancora sonnecchia, ma non nega un sorriso al padre.
«Posso andare dai videogiochi?».
Il padre tira fuori cinque dollari dal portafoglio.
Junior trotterella via verso il luna park, sfilando vicino a una signora che allestisce un banchetto di empanadas al formaggio. Poco più in là, un pescatore coi rasta e una maglia di Bob Marley si lamenta dei traghetti, poi del cielo, poi di nuovo dei traghetti. Junior infila la testa tra i tasselli di legno della staccionata. C’è un pesce argentato nell’acqua, attaccato a una corda.
«L’hai pescato tu?».
Il pescatore annuisce, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte infuocato.
«Che pesce è?».
«Blue fish».
«E perché non è blu?».
«Perché è morto».
Junior si sporge ancora un po’ per capire se è vero che il pesce è morto o se sta solo dormendo.
«Anche mio padre è un pescatore».
Quello non risponde. Junior se ne va.
Ora c’è più vita nel luna park. Il rumore dei generatori a corrente si fonde col profumo appiccicoso dello zucchero filato. Junior segue a testa in su la traiettoria dei piccoli vagoni delle montagne russe. Prima o poi un giro lo farà anche lui. Per ora, si accontenta dei videogiochi. Cambia i cinque dollari in dieci gettoni e si precipita a giocare a Street Fighter II.
Julio si accende una sigaretta e si mette ad aspettare la buena suerte. Guarda lontano, il mare è nervoso. Quasi non si accorge che il galleggiante è già sparito sott’acqua. La canna si inarca di scatto e sembra volersi gettare negli abissi. Julio la afferra al volo e avverte subito la furia della preda. Punta un piede contro la staccionata, per fare leva e guadagnare forza. La lenza è tesa al massimo, rischia di spezzarsi. Riavvolge il mulinello, senza fretta, millimetro dopo millimetro. Per un attimo lo intravede. Julio suda, non riesce a sollevare quella cosa che sembra fatta di piombo. Devo trascinarlo verso riva, pensa, un passo alla volta. Gli altri pescatori si sono accorti di quel che sta accadendo e seguono l’impresa con invidia ed entusiasmo. Julio lotta contro l’attrito dell’acqua. Gli altri lo accerchiano e lo seguono nel suo cammino a ritroso. Cercano di distrarlo, sogghignano convinti che non ce la farà. Ma lui è concentrato, non li sente nemmeno. Ha gli occhi fissi sul pesce che sembra arrendersi, poi invece molla due strattoni improvvisi, sottolineati dallo stupore del pubblico. Julio è stremato, le braccia gli tremano, consumate dalla battaglia e dalla tensione. Ora è la sabbia del bagnasciuga a fare attrito. La canna ha assunto una curva innaturale, ma resiste. Il pesce boccheggia, ha la disperazione negli occhi. Ha capito che è finita, desiste. Julio scolla una mano dalla canna, solleva il cappellino e si scrolla via il sudore dalla fronte. Scende i gradini del molo e raggiunge l’avversario morente.
Junior ha scelto Honda, il lottatore di sumo giapponese. Ha già battuto Zangief e Chun-li. Ora viene il difficile, pensa. Ha perso il primo round contro Blanka, ma nel secondo sta recuperando. Qualcuno di fianco lo saluta con un ciao. Junior risponde senza scollare gli occhi dallo schermo. Blanka vince l’incontro. Junior ora si gira e squadra il ragazzo qualche anno più grande.
«Blanka mi batte sempre».
L’altro gli sorride e tira su un sorso di Coca-Cola con la cannuccia.
«Posso sfidarti?».
Junior tentenna.
«Tu chi prendi?».
«Facciamo alla pari. Honda contro Honda».
A Junior piace quella proposta. Infilano un gettone a testa e il gioco inizia. Dopo aver vinto tutte le partite, il ragazzino chiede a Junior se gli va di fare un giro tra le giostre. I due si allontanano, fino ad arrivare alle montagne russe.
«Sono le prime al mondo, lo sai? Son tutte di legno».
Junior annuisce, mentre osserva i vagoni capovolgersi a testa in giù. Ogni curva getta al suolo grida brevi e acute.
«Ci sei mai stato lassù?».
«Non ancora», dice Junior.
«Non è così pericoloso».
«Quante volte ci sei stato tu?».
«Tantissime. Non mi diverte neanche più. Vuoi andarci?».
Junior non sa se sia una buona idea.
«Dai, andiamoci, oggi non c’è nemmeno la fila».
«Ok».
I due salgono rapidamente la rampa che li conduce ai vagoni. Il ragazzino si muove da vero esperto. Guadagnano facilmente i primi posti. L’addetto chiude le cinture di sicurezza ai pochi passeggeri. Non appena i vagoni si mettono in movimento, il ragazzino si divincola dalla protezione.
«Ma cosa fai?» grida Junior.
«Senza è più bello, fidati».
Junior lo guarda perplesso, l’altro lo snobba:
«Le cinture sono per i ciccioni, se no si ribaltano».
«Come Honda?».
«Sì, come Honda. Basta che ti tieni attaccato bene con le mani».
Allora anche Junior elude la protezione. Guarda il cielo che si fa più vicino, mentre approcciano la prima discesa. Con lo sguardo cerca il molo. Vorrebbe essere laggiù, di fianco al padre, vedere se qualche pesce ha abboccato, poi mangiare insieme le patatine fritte da Nathan’s. Piove cenere. Junior si ripara gli occhi con le mani. La vista trema, la testa gira, il respiro si fa impossibile.
Julio si siede sulla sabbia bagnata. Stacca l’amo dalla bocca del pesce. È ancora vivo, ma in agonia. Si sente soffocare, ormai l’aria si è fatta irrespirabile. Meglio tornare a casa, pensa. Butta il pesce in un secchio e si avvia verso l’area dei videogiochi, mentre le sirene di un’ambulanza si avvicinano frenetiche al luna park.
© Un racconto di Michele Scaccaglia - Illustrato da Daniela Spoto - Editing di Chiara Bianchi
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