Scritto da Mathilde Tulla
Illustrato da Kornelia S
Maledetto Natale
Prima che Luis decidesse di venire a vivere con me, stavo bene. Il mio piccolo appartamento era la prova di quanto bene stessi: ogni cosa al suo posto e il disordine esistenziale dentro. Poi è arrivato lui. Deve essere stato quella sera che nevicava. In un vocale di pochi secondi mi diceva che era stato mollato e che stava venendo da me. Senza neppure il tempo di rispondergli era già dietro la porta. Uno zaino in spalla e una bottiglia di vino in mano. Gli occhi lucidi.
Entrò facendo complimenti per la disposizione dei mobili, delle foto, dei quadri, delle mensole, dei libri sul tavolino. Poi incominciò a piangere. Lo abbracciai senza dire nulla.
Io, Luis non lo conoscevo. L’avevo incontrato un paio di volte nel baretto sotto casa, ed entrambe le volte eravamo ubriachi. Non mi ricordo se fossi stata io a dargli il mio numero di telefono. Non mi ricordo se gli avessi detto dove abitavo. Probabilmente sì, non gliel’ho mai chiesto.
Insomma, era quasi Natale, tutto andava come doveva andare. Ovvero: il Natale restava per le strade, nelle luci dei negozi, nelle borse dei regali trascinate da gente esaurita per le vie del centro. Mentre il mio appartamento: una zona franca dove la festa non poteva entrare.
Poi Luis mi chiese perché non addobbassi lo spazio abitativo. Alzai le spalle, non pensavo fosse necessario spiegarglielo, e invece…
Era passata una settimana e Luis era ancora lì, accampato sul mio divano. Una sera, aprii la porta e come si può immaginare, il Natale si era impossessato di tutto.
Aveva spostato il tavolo della cucina per montare un albero decorato di rosso. Le luci scintillavano. Stavo per avere un attacco epilettico. Controllai la rabbia, non sarebbe servita a niente. Lo guardai. Era soddisfatto e mi chiese: «Dimmi, sei felice?».
A quella domanda risposi con un ghigno. Luis venne verso di me. Mi abbracciò e all’orecchio mi sussurrò: «Pensavo di restare qui». Quando si allontanò, con le mani in preghiera, in attesa di una risposta, lessi la paura di un mio diniego. Non me la sentii.
Alla Vigilia di Natale, Luis uscì verso sera con la promessa di tornare presto per stappare assieme una bottiglia a mezzanotte.
Ero sola, seduta sul divano, mi guardai attorno. Non era casa mia. Non più. Stavo così bene, prima. Mi accorsi solo allora che dietro le tende si elevava una colonna di scatoloni sui quali capeggiava il suo nome, in stampatello. LUIS.
Oh Luis, Luis…
In camera da letto, nel cassetto dell’intimo, in fondo, ricordavo di aver conservato un pacchetto di sigarette. Non fumavo da tre anni. Il tempo in cui avevo vissuto da sola. Ne accesi una, dopo un paio di boccate, mi scagliai contro l’albero, distrussi tutte le decorazioni. Penso di aver urlato. La vicina bussò al muro che ci divide. Intanto, un cumulo di colori aveva occupato il centro della stanza. Accesi un’altra sigaretta. Inspirai, espirai. La lasciai scivolare per terra. Presi la giacca e uscii.
Poco dopo, ero dall’altro lato della strada in attesa dei vigili del fuoco a osservare lo scoppiettio del fuoco, il fumo denso che stava distruggendo il mio appartamento, ma non me.
No, Luis, non distruggerai me. Maledetto Natale, Luis.
© Racconto di Mathilde Tulla | Illustrazione di Kornelia S | Editing di Chiara Bianchi
Maledetto Natale | Racconto | Indigeribili
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