Perdere il fiato | Racconti Indigeribili

Perdere il fiato | Racconti Indigeribili

Scritto da Paolo Perlini
Illustrato da Michela Crespi


Perdere il fiato

Ci giocavamo, io e Luca, a trattenere il fiato. Poi si unì anche mio cugino Stefano e infine tutti gli altri. Facevamo partite, come se si trattasse di tornei di biglie, figurine, ping-pong. 

Io ero uno dei più bravi, se non il migliore: mi allenavo da anni ed ero capace di superare i due minuti. Poi venne Claudio, che aveva un torace ampio come il mio armadio. Tutti gli dicevano che era troppo grande e grosso per avere dieci anni, lui replicava mostrando il tesserino della squadra di calcio. Peccato che fosse quello di suo fratello minore.
«Sono nato così, che colpa ne ho se voi siete dei nani?».
E quindi, la vigilia di Natale si fecero le squadre, tredici da una parte e tredici dall’altra, come nella disfida di Barletta e si arrivò alla partita finale.
Spompati, sfiniti, sfiatati come camere d’aria forate, in ventiquattro mollarono.
Sulla terra battuta del piazzale davanti alla chiesa, all'ora della messa vespertina, quando il sole tingeva di arcobaleno le vetrate della chiesa, io e Claudio ci affrontammo fino all'ultimo respiro. Attorno a noi qualcuno sputava, un altro raspava, altri controllavano che non barassimo. 
Lì, ritti in piedi, come due bronzi di Riace, ci dimenticavamo di respirare.
Non so quanto tempo fosse passato ma deve essere stato tanto, perché il sole era sparito e la gente usciva da messa. 
«Paolo, basta» disse Luca. 
Aprii un occhio, in giro non c'era quasi nessuno. Claudio era piegato in due, sputava sulla terra con le mani sui fianchi.
«Hai vinto» precisò Luca.
Aprii la bocca, tirai un sospiro. Claudio tornò in posizione eretta, gonfiò il petto per prendersi tutta l’aria che c’era intorno. Sembrava volesse togliermi anche la mia, quella che stava entrando dalle narici.
Mi guardò e disse:
«Ringrazia la Mirella». 
E andò via.
Teneva le braccia larghe come un pistolero e il suo petto si gonfiava e sgonfiava come un mantice.
Luca mi spiegò:
«Ha visto passare Mirella, hai presente?»
«E allora? Gli ha fatto il solletico?».
«No, lui l’ha vista e lei gli ha tolto il fiato».
La sera, a servire messa di mezzanotte, Claudio sembrava un po’ annebbiato, in mancanza di ossigeno e quando sbadigliava apriva la bocca così tanto che le mascelle sembravano disarticolarsi. Si ridestò quando venne il momento della comunione e seguì uno dei sacerdoti, padre Angelo, con la patena in mano. Non avrebbe dovuto farlo: proprio nella sua fila capitò Mirella. Lui la vide, era la terza dopo Mario Carletti e consorte. Il signor Mario fece in tempo a prendere la particola in bocca, sua moglie invece, cadde a terra e andò a sbattere la testa sui mocassini di Padre Angelo. Sopra i mocassini e sopra la moglie del signor Mario, si adagiò Claudio: alla vista di Mirella aveva di nuovo perso il fiato, oltre a tutto il resto.
Pareva messo proprio male, tanto che uno dei fedeli si affrettò a girarlo, togliergli le scarpe, alzargli le gambe e siccome tutto questo non bastava, gli praticò il massaggio cardiaco e dopo questo gli mise due dita in bocca, gli tirò fuori la lingua e gli fece la respirazione bocca a bocca.
Quando riprese conoscenza la prima cosa che vide fu il volto di Mirella. Gli sfuggì un sorriso da ebete:
«Ancora» disse.
Da quella notte di Natale si convinse di essere stato baciato da lei e nessuno si prese mai la briga di raccontargli la verità.
Ci giocavamo un po’ tutti a trattenere il fiato, infine diventammo grandi e anche per noi arrivò una Mirella a togliercelo. E poi un’altra e un’altra ancora.


© Racconto di Paolo Perlini | Illustrazione di Michela Crespi | Editing di Chiara Bianchi 


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