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Le isole Faroe, che viste dall’alto appaiono ostili con le loro scogliere a strapiombo sull’atlantico, sono la madrepatria della scrittrice Siri Ranva Hjelm Jacobsen di cui Iperborea ha portato in Italia il suo primo romanzo: "Isola".
La narratrice di questa storia, della quale non scopriremo mai il nome, è una ragazza che ha deciso di intraprendere un difficile viaggio partendo dalla sua vita agiata, moderna, in Danimarca, alla ricerca delle sue radici che proprio in questo piccolo arcipelago affondano. Da questo minuscolo pezzo di terra sono nati i suoi nonni, il suo abbi e la sua omma, Fritz e Marita, che qui si sono conosciuti ed innamorati, e hanno visto bruciare la loro passione. Una coppia come tante altre che, alla ricerca di un futuro migliore per loro e per i loro figli, ha deciso di emigrare a Copenaghen, portando dentro di sé il germe dell’appartenenza ad una terra piccola quanto sconfinata, perché continua a generare figli della migrazione che prima o poi, come la nostra protagonista, sentiranno il richiamo della patria.
«La Casa in mezzo ai campi, la casa originaria, li aveva seguiti, in qualche modo. I profumi e i mobili. Il pensiero che non fosse lì ad aspettarmi non mi aveva mai sfiorato.»
Le tradizioni, la lingua, le usanze delle Faroe generano un’irresistibile fascino che ha allo stesso tempo il sapore di esotico e di familiare.
«Nessun’isola è un’isola» dice omma, ed è vero, perché questo libro insegna che per quanto lontano tu possa essere, qualsiasi vita tu stia vivendo, ci sarà sempre una lingua di terra a collegarti con la tua isola personale, e prima o poi ne sentirai il richiamo.
«Quel weekend raccontai a me stessa che ero nata a Vágar, a Gásadalur, un mattino insieme alla pioggia. Volevo che un germe di me fosse spuntato qui e vi appartenesse, fosse parte della pietra, dell’aria verde.»
Questa è una storia di migliaia di sofferenze sommate insieme, e per questo non è stata una lettura facile.
Alla fine di ogni capitolo ho avuto bisogno di prendere un sospiro, chiudere il libro, guardare altrove.
La scrittura di quest’autrice, esordiente quanto esperta, è asciutta nel descrivere le emozioni e poetica nel tratteggiare i paesaggi. Leggendola si viene pervasi da una malinconia difficile da dimenticare, struggente e terribile. Ci si sente parte di un mondo che in fondo non è così distante, quello degli esuli, degli immigrati, quelli che corrono altrove alla ricerca di fortuna ma che portano dentro (e trasmettono ai figli) soltanto la voglia di tornare. Sono i figli della migrazione che riporteranno a casa il cuore.
«La migrazione si compie in tre generazioni. La prima avverte il bisogno e porta in sé la volontà, l‘ostinazione: una pietra pesante che si sposta con le proprie forze. Si sbarca da qualche parte, o si prende una nave da colonia, si arrotola la rete di radici intorno alle caviglie e si comincia a sgobbare a testa bassa. Si vive in baracche da sfollati, nei campi, sotto i ponti, oppure si ha la fortuna di avere uno zio. […] La generazione successiva forse sta a gambe divaricate sulla distanza, finché qualcosa s’incrina e allora si sente doppiamente sbagliata, senza nessuna lingua, doppiamente sola. Oppure corre veloce il doppio, espande l’attività, versa l’anticipo per il garage, si laurea in medicina. […] Questa generazione sta ancora pagando il viaggio. […] Poi arriva la terza. Il frutto di tutto il processo. […] Può permettersi lavori poco lucrativi, deve esprimere la propria interiorità, trasportare di qua anche lo spirito, credendo che sia questa la realizzazione di sé. Le radici trepidano e frugano. Portano particelle morte di un’altra terra. […] La terza è una generazione invisibile, teorica, la cui pelle si confonde con la tappezzeria, e che lo sappia o no, si porta dentro il viaggio come una perdita.»
Titolo: Isola (“Ø”)
Autore: Siri Ranva Hjelm Jacobsen
Casa editrice: Iperborea
Pagine: 219
Prezzo di copertina: 17 €
Copertina di: Federica Bordoni
© Christina Bassi