Le stelle che stanno giù | Azra Nuhefendic

Le stelle che stanno giù | Azra Nuhefendic

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Scusatemi se vi parlo ancora di Sarajevo, ma dopo dodici anni i racconti di Azra Nuhefendic sono sempre attuali.
parole di Paolo Perlini

Nel 1996 Marko Vešović pubblicò "Chiedo scusa se vi parlo di Sarajevo", un’opera che affrontava un tema importante e complesso, ponendo l'attenzione sulla guerra e sul conflitto che ha coinvolto la città di Sarajevo durante gli anni '90. Un assedio che durò dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996. In totale: 3 anni, 10 mesi e 24 giorni. Durante questo periodo, la città fu assediata dalle forze militari serbo-bosniache che causò gravi sofferenze alla popolazione civile e danni significativi all'infrastruttura della città.

Le stelle che stanno giù, di Azra Nuhefendic, pubblicato da Spartaco Edizioni nel 2011 prosegue su questa linea e ci racconta frammenti di vita di un Paese che non esiste più: la Jugoslavia. Ve la ricordate? Forse solo chi è nato prima degli anni Ottanta riesce ad averne un’idea. L'immagine comune era quella di una nazione unita e solida, con un forte senso di identità. Nonostante le tensioni etniche e le differenze culturali, molti cittadini si identificavano prima di tutto come jugoslavi, piuttosto che come membri di gruppi etnici specifici. C'era un'opinione generale di orgoglio nazionale e di stabilità economica, grazie anche al modello di autogestione socialista adottato nel paese. Tuttavia, negli anni '40 e '50, emersero tensioni tra Tito e il leader sovietico Stalin, che portarono alla rottura delle relazioni tra i due paesi. La Jugoslavia adottò una politica di non-allineamento e Tito divenne una figura di spicco nel Movimento dei Paesi Non Allineati. Nonostante le differenze con l'Unione Sovietica, Tito riuscì a mantenere l'indipendenza della Jugoslavia e a consolidare il suo potere fino alla sua morte nel 1980. Con il progredire degli anni '80 e l'emergere di questioni etniche e politiche, questa percezione di unità iniziò a vacillare, portando infine alla dissoluzione della Jugoslavia e allo scoppio della guerra negli anni '90.

Nei 18 racconti di Azra Nuhefendic possiamo rispolverare questi ricordi e ripercorrere la storia di quello che fu un grande Paese.  Nel primo racconto, Il mio papà minatore, ci parla della sua prima gita in colonia al mare, delle raccomandazioni di suo padre, delle tre banconote che gli mise in mano. Banconote che raffiguravano Alija Sirotanović, minatore, che il 24 luglio del 1949 con i suoi compagni estrasse da una piccola miniera 145 tonnellate di carbone. Più di quelle estratte da un russo, e per questo divenne eroe nazionale.

Queste tre banconote l’autrice le conservò a lungo ma andarono irrimediabilmente perse durante la guerra, probabilmente trafugate da quei militari che svaligiavano gli appartamenti.

Tutti i racconti sono un misto tra ricordi d’infanzia e la situazione che si creò durante l’assedio.

Nel racconto L’esplosione del cervello, frase coniata dal generale e criminale di guerra serbo Ratko Mladić, ci fa capire quanto «i giorni più pesanti erano quelli tranquilli». Perché, con una media giornaliera di 329 granate sganciate sulla città, tu te ne stavi in casa, nel rifugio, in cantina. Quando invece c’era il silenzio tu scendevi, uscivi, andavi al mercato e poteva succedere che un cecchino anonimo ti colpisse con un colpo sicuro.

Durante l’assedio, «gli assedianti uccidevano cinque, dieci, cinquanta, ottanta persone; in totale ne furono uccise diecimila, tra cui 1600 bambini. All’inizio i defunti si sotterravano, come si doveva, nei cimiteri e con il rito usuale. Ma presto non si potevano seguire le usanze. I camposanti esistenti non bastavano per seppellire tutti i morti».

18 racconti di ricordi personali e di cronaca in tempo di guerra, uno più bello dell’altro. Con l’ultimo della raccolta, Il treno, l’autrice ha vinto nel 2010 il Premio Writing for CEE.

E io Chiedo scusa se vi ho parlato ancora una volta di Sarajevo e della guerra che c’è stata alle porte di casa nostra. Il fatto è che continuo a chiedermi come sia stato possibile che ciò sia successo, perché siamo stati così a lungo impassibili se non conniventi e perché quella guerra, ancora una volta non abbia insegnato nulla.

Significativo è il racconto La nostra lingua.

«Prima e durante la guerra in Bosnia, ho assistito all’uso delle parole come un’arma potentissima. La tv, i giornali, le radio seminavano l’odio e preparavano la guerra in modo efficace, come nelle guerre tradizionali lo faceva l’artiglieria. A causa delle parole scritte e dette la gente cambiava: glia mici diventavano nemici, i vicini avversari, i familiari estranei.

Ho capito quanto aveva ragione il noto dissidente e scrittore Mihajlo Mihajlov, quando sosteneva che la parola scritta e detta è l’arma più potente “perché con un coltello si possono uccidere una, due, o cinque persone, con un fucile se ne fanno fuori dieci, con una bomba se ne ammazzano cento, invece le vittime delle parole che istigano l’odio si contano a milioni”.»

E quando in TV sento certi politicanti da strapazzo farneticare, non posso fare a meno di provare qualche brivido.

Titolo: Le stelle che stanno giù
Autrice: Azra Nuhefendic
Casa editrice: Spartaco Edizioni
Pagine: 144

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