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di Paolo Perlini
La prima volta che ho letto qualcosa dell’isola di St. Kilda è stato sull’Atlante tascabile delle isole remote, di Judith Schalansky.
«Nel cimitero giace il futuro dell’isola: al momento della nascita tutti i bambini godono di ottima salute. Durante la quarta, quinta o sesta notte, la maggior parte smette di poppare… Tra il settimo e il nono giorno muoiono due terzi di tutti i neonati, più maschi che femmine.»
Due paginette che mi avevano intrigato abbastanza, tanto da indagare un po’ su google e scoprire che l'isola di St. Kilda, o Hirta, è un gruppo di isole dell'Atlantico settentrionale situato al largo della costa occidentale della Scozia. Sono state abitate per circa 4.000 anni, ma l'ultima persona a lasciare St. Kilda è stata evacuata nel 1930.
Nel 1986 è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità dall'UNESCO per la sua importanza ecologica e culturale. Le isole infatti, sono il luogo di nidificazione di diverse specie di uccelli marini, tra cui puffini, pulcinelle di mare, gabbiani tridattili e stormi.
Poteva finire qui… invece, in piena pandemia la casa editrice 21Lettere fa il suo esordio e tra i primi titoli vi è proprio questo, L'addio a Saint-Kilda di Éric Bulliard.
Non mi sono lasciato sedurre subito: mi piaceva tenermi dentro le due paginette di Judith Schalansky e la sua storia dei bambini che muoiono l’ottavo giorno. Poi ho avuto modo di sfogliare il libro nelle diverse fiere dell’editoria e di riadagiarlo con cura: non era ancora il momento.
Infine, nel 2022 il momento è arrivato, come ultimo e definitivo acquisto prima di lasciare con malinconia i miei giorni trascorsi nella nuvola di PLPL.
Ora, immaginate un’isola nella quale piove quasi tutto l’anno e se non piove c’è la nebbia. Immaginate un’isola nella quale non c’è nemmeno un albero e i bambini che ci vivono siano a conoscenza di questo solo perché qualcuno gliene ha parlato. Immaginate quanto prezioso sia un tronco di legno trasportato dal mare.
Provate a immaginare una società nella quale non esistono capi e autorità e ogni decisione viene presa al mattino lungo quella che si può definire via del parlamento. Fino al XIX secolo gli abitanti di quest’isola sono vissuti senza conoscere il denaro e la scrittura, ma sono comunque stati indottrinati da numerosi pastori e diverse religioni: I Kildani sopportarono il reverendo Mackay per 24 anni, proprio lui che tanto aveva ostacolato i miglioramenti nell'ostetricia, vietava ai bambini di giocare e li obbligava a portare una bibbia ovunque andassero.
Insomma, la vita sull'isola era estremamente difficile a causa delle condizioni meteorologiche avverse e della limitata disponibilità di risorse naturali. Tuttavia, gli abitanti di St. Kilda sono riusciti a sopravvivere grazie alla loro abilità nel pescare e cacciare uccelli marini, nonché nella raccolta di alghe per l'isolamento dei tetti delle case.
Eppure, una vita difficile può essere resa ancora più complicata. A circa 8 km a nord-ovest dell'isola di Hirta c’è Stac an Armin, una piccola isola rocciosa, un dente di squalo che spunta in verticale, solo roccia ed escrementi.
«Persino gli uccelli fanno fatica a trovare qualcosa che assomigli a un riparo per posarsi su questa parete verticale.»
È qui, su questo sperone che dal 15 agosto del 1727 al 13 maggio del 1728 tre uomini e otto bambini sono vissuti, aggrappati a una trentina di metri dai fiotti. Nove mesi, quasi quaranta settimane, duecentosettantotto giorni.
Che ci facevano lì? C’erano andati perché come ogni anno, una squadra di uomini e ragazzini valorosi parte e sbarca su Stac an Armin alla fine del periodo di riproduzione, quando le colonie di procellaria sono così numerose che non si distingue nemmeno più la roccia. La nidiata non ha ancora imparato a volare e per un paio di settimane sono vulnerabili. I kildiani catturano e uccidono centinaia di procellarie, le svuotano e le appendono. Saranno seccate e serviranno come scorta per superare l’inverno.
È un’impresa restare dieci giorni su queste rocce, dove non si può camminare e si sta seduti a turno; è un’impresa respirare in mezzo a questo odore di escrementi. E loro ci sono rimasti per nove mesi, fino a quando da Kilda sono riusciti a tornare e riprenderli. E a Kilda sono sopravvissuti per nove mesi senza il sostentamento che loro dovevano portare.
Quando nel XIX arrivarono i primi turisti, i kildiani capirono che esisteva un altro mondo ed era possibile vivere diversamente. Era possibile interrompere quel ciclo eterno del fare le cose a quel modo perché così si era sempre fatto. Ma bisognava anche essere un po’ egoisti, pensare a sé stessi e non più alla comunità.
Gli abitanti sentivano parlare di Australia, California, corsa all’oro. E fintanto che era una persona ad andarsene l’equilibro restava, ma quando iniziarono a partire in molti non c’era più possibilità di sopravvivere a Saint Kilda. Nel 1930, rimasti ormai in pochi, col pericolo sempre più concreto di non potersi più sostenere autonomamente, gli abitanti chiesero al Governo un’evacuazione in Scozia.
L’addio a Saint-Kilda di Éric Bulliard è un romanzo di finzione basato su dati storici. Certi episodi, alcuni personaggi, i dialoghi sono indubbiamente inventati dall’autore ma sono così verosimili che sembra quasi impossibile pensare che le cose non siano effettivamente andate così.
È un romanzo che vi solleticherà il naso, come se le piume di procellaria vi girassero intorno. Sentirete l’odore forte e pungente del guano e quello terroso e legnoso della torba. Sentirete il mormorio continuo e inquietante del vento e il suono forte e chiaro di un belato.
Non sentirete più abbaiare i cani: prima dell’evacuazione gli abitanti hanno soppresso gli ultimi legando loro una pietra al collo.
Titolo: L'addio a Saint-Kilda
Autore: Éric Bulliard
Casa editrice: 21Lettere
Pagine: 192
Pubblicazione: 10 settembre 2020
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