Non nella Enne non nella A ma nella Esse | Mariana Branca | un estratto

Non nella Enne non nella A ma nella Esse | Mariana Branca | un estratto
Estratto da Non nella Enne non nella A ma nella Esse di Mariana Branca per Wojtek Edizioni

Era il 5 aprile 2008 e The Student era un ep. Copertina bianca, il più in mezzo a W+L rosso e un numero nero, zero quarantanove, accanto.
Il 12’’ comprendeva tre tracce (più due remix di Seth Troxler e Kasper) che contenevano una polpa “folktronica, indietronica e John Cage, ritmiche hand-made, narrazioni, fraseggi al piano, l’Islanda, Four Tet e Mille Plateaux. La versione hairstyle del brano, in drum machine, cassa in quattro quarti e una minimale effettistica, ne riorganizza le coordinate su binari dance, senza rinunciare a stop and go, riprese e sonnolenti crescendo”. Scrissero così, scrissero un po’ dappertutto, pochissimi male, tantissimi tantissimo bene.
Eravamo contenti, io più di lui.
Il 5 aprile fu un giorno che non cambiò niente ma tutto fu diverso, per quel ritmo esistenziale che si fece più balordo e spezzettato, che lo portava, e me appresso, da una parte all’altra, da sud a nord a est di Houston Street e tutto intorno.
Il 5 aprile 1997 era morto Allen Ginsberg, che si era sposato con Peter Orlovsky e avevano trascorso malamente innamorati tutta la vita insieme. Nel 1955 aveva scritto: I saw the best minds of my generation
who jumped in limousines with the Chinaman of Oklahoma on the impulse of winter midnight streetlight smalltown rain, who lounged hungry and lonesome through Houston seeking jazz or sex or soup, and followed the brilliant Spaniard to converse about America and Eternity, a hopeless task, and so took ship to Africa.
L’avevamo studiato a scuola, seniors al Lycée Français Upper East Side, Howl di Allen Ginsberg, pubblicato dalla City Lights Bookstore di Lawrence Ferlinghetti, che si fece un anno di galera con l’accusa di diffusione di oscenità. Il 5 aprile 1895 era stato Oscar Wilde a farsi condannare per dichiarata omosessualità, di anni di galera ne fece due.
Il 5 aprile 1909, a Trieste, era nato Giacomo Gentilomo che nel 1952 aveva diretto un film dal titolo Melodie Immortali, incasso 351 milioni di lire, seguito da visto di censura numero 13.362 dello stesso anno. Il film parlava del compositore Pietro Mascagni: il figlio muore e lui perde tutto, non gli resta che la musica, suonare. E lui suona, Pietro, suona i brani di Nino Rota, compositore italiano che ha fatto le colonne sonore per il novanta percento della cinematografia italiana, più musica da camera, musica per archi e pianoforte, fiati e pianoforte, flauto e arpa, duetti, trii, quartetti, miscellanea, musica vocale e d’orchestra, concerti per solisti e persino opere liriche. Tutto, Nino Rota ha fatto tutto, ha composto tutto quello che gli hanno chiesto di comporre, per i vivi, i film, i morti, i cani, i signori e gli amori, tutto. Avrebbe dovuto chiamarsi Nino Nota, perché aveva una nota per ognuno e a ognuno dava la sua nota, quella che più gli stava bene addosso.
È un fatto essenziale, indossare la musica giusta, come la serafina dei nostri quattordici anni; è un fatto che, altrimenti, non puoi stare bene. Allen Ginsberg e Oscar Wilde e Lo Studente, il 5 aprile furono un vestito di parole e suoni sparpagliati, da portare all’occhiello come un fiore.
I piedi rinsavirono e i cuori, lo seppi, lo sentii, lo sentirono tutti, guarirono, furono, fummo liberi, liberi tutti, i tranquillizzati dalla ketamina, dove k è la costante dei sotterranei dell’oblio, costante elasticizzante, soporifera, la polvere anestetica dei cuori cavallereschi che nitriscono in silenzio sui dancefloor dell’oblio. Tutti, fummo liberi, i ketaminizzati e non. Elasticità, poro-elasticità, deformazione quasi statica, stasi quasi deformata, movimento, movimento a molle, ammollo che ammolliva le ossa e il pensiero, ce li riduceva in crema, ci riduceva in crema, crema cremosi e cremati in una stanza crematorio dove l’acqua se ne volava fuori dal corpo per lasciarci polverosi, ketaminizzati, rimpastati nel nostro stesso sudore. E così continuare a ballare. Era come lasciarsi morire, alleggerire.
Ci liberavamo tutti, ci depuravamo del troppo, sminuzzati nella poesia che gli usciva dalle dita, ci sublimavamo nella tropologia, vaporizzati, trasposti di significato, nebulizzati nella deviazione della linea blu del suo basso sintetico, linea che andava su e giù e più giù e sprofondava nel pavimento, e trasponeva e deviava il significato il senso il verso e la direzione, la perdita del filo d’Arianna e dell’orientamento. Fu – e non lo seppi solo io – fu la perifrasi, il giro di parole parlate, di suoni suonati, di frasi, di note annotate tra i riccioli dei suoi capelli.


Titolo: Non nella Enne non nella A ma nella Esse
Autrice: Mariana Branca
Editore:  ‎ Wojtek 
Pubblicazione: 18 maggio 2022
Pagine: 150



Mariana Branca è nata un lunedì di marzo ad Avellino ed è cresciuta in una valle inghiottita dai monti Picentini. Laureata in architettura a Napoli, ha vissuto a Parigi, Bruxelles, Lione, Torino, poi Londra, Roma, infine Lisbona, sempre svolgendo lavori diversi (architetta, guida turistica, insegnante). Vive tra Irpinia, Abruzzo e Emilia Romagna. Non ha mai avuto un blog, né scritto per nessuna rivista, né pubblicato un racconto sebbene scriva da quando era piccola.Questo, dunque, finalista alla XXXIV edizione del Premio Calvino, è il suo primo romanzo. 
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