Straniamento e affabulazione le chiavi di lettura della scrittura di Livio Santoro nella sua seconda raccolta di racconti
di Chiara Bianchi
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Livio Santoro giunto alla sua seconda raccolta di racconti, pubblicata da EdicolaEd, si contraddistingue per la tessitura stilistica dei suoi scritti brevi e brevissimi. I testi nella loro essenza narrativa esplorano una particolare lingua: mistica, aulica, colta, intarsiata. La parola desueta riacquista vigore e riesce a sottoporre la lingua alla sfida al significante, all’espressione. Come ci ricorda Cortázar, il significante rappresenta uno dei tre elementi fondamentali della scrittura – gli altri due sono tensione e intensità, dei quali Santoro sa farne buon uso.L’effetto straniante è oltremodo portato avanti dai temi affabulatori: faremo i conti con il dolore, il rifiuto, l’evanescenza della vita e del corpo, il suicidio, l’eternità e la cosmogonia. E ancora ci troveremo faccia a faccia con personaggi dai nomi a volte impronunciabili, con divinità malvage e miti dalle storie capovolte. Leggeremo di preghiere e di riti provenienti da mondi lontani, sconosciuti, di cui portiamo dentro l’essenza.
[…] anche quell’anno le celebrazioni liturgiche dei Solenni Giorni si dovevano concludere, come sempre d’altronde, con gli attesi Giochi di prostrazione individuale, cimento d’impavida abilità e volontaristica fermezza […] (da Giochi di prostrazione)
Storie dal retrogusto biblico, altre che ricordano le leggende nordiche. Assistiamo alla celebrazione del male, alla disfatta di qualsiasi forma di tolleranza, raggiungiamo le alte pianure di Kohr per scoprire che non c’è posto per il visitatore straniero che potrebbe portare il male laddove non se ne conserva traccia, fino a negare l’accoglienza al viandante – confermando ancora una volta il lato oscuro.
Ma non dobbiamo andare dall’altra parte del pianeta e attingere alla letteratura sudamericana per comprendere la scrittura di Santoro. Se c’è un riferimento al fantastico su cui fare affidamento per comprenderla è probabilmente il Sommo Poeta Dante. Quale immaginario è più vicino per tematiche e sintassi dell’Inferno? Si parla di umanità messa alla prova da stranianti forme disumane deificate, da mostruosità e dalla Natura. C’è tutto. Anche nella lingua e nella sintassi, più volte ritroviamo il tipico incedere dantesco – penso ad esempio ai racconti più brevi in cui musicalità e retorica dantesca spiccano, oppure a termini quali “Poscia”.
Livio Santoro attinge dai giusti pozzi, ne fa proprio l’uso e ne definisce le regole. Il risvolto della trama lo affida ai lettori che adatteranno le storie al loro sapere esperienziale, estrapolando emozioni e ricordi, riconoscendo tra gli intrecci della trama, qualcosa di molto simile alla realtà.
[…] la durata del lutto sia specchio non del dolore esperito dalla singola alluttula al trapasso, bensì da quello della comunità nella sua interezza, costretta a privarsi di un valido supporto per la prosecuzione del consistere sociale. (da L’Anniile)
Ed è forse nel titolo della raccolta Commedie del vespero e della notte – appartenente a uno dei trentanove racconti – a darci indizio di quanto ci aspetta: commedia, alla maniera in cui la intendeva Dante tra il tragico e l’elegiaco, in cui si è già perso il lieto fine e vespero che se in un primo momento ricorda l’ora tarda prima della sera, curiosamente ha un secondo significato legato a un genere di insetti coleotteri cerambicidi dai costumi notturni, i quali depongono le uova nel terreno, e le larve che fuoriescono passano per due forme di sviluppo diverse e si cibano di ogni sorta di radici, arrecando spesso gravi danni alle viti e ad altre piante.
Commedie che infestano e lo fanno nell’oscurità.
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