Il senso di inconsistenza di un corpo, la precarietà ontologica di una Nazione-Mondo
di Chiara Bianchi
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Storia del mio breve corpo di Billy-Ray Belcourt, tradotto da Sara Reggiani per Edizioni Black Coffee è un condensato di pensieri frammentari, ricordi e storie vissuti dall’autore, appunti e riflessioni su temi di attualità confinati in una realtà, quella canadese, dando così vita a un saggio-memoir di grande impatto e di enorme espressione poetica.
Leggendo queste pagine ci si approccia a una realtà attuale, distante, diversa e per certi versi sconosciuta alla quotidiana esperienza di questo nostro occidente europeo.
Quanto sappiamo delle altre persone? Quanto percepiamo di ciò che accade ad altre latitudini? Forse troppo poco rispetto a quanto potremmo, inondati di informazioni inutili.
Libri come questo dovrebbero moltiplicarsi, seppure nel continente americano i titoli non mancano, basta dare un’occhiata alla bibliografia di riferimento, posta a fine testo, per rendersi conto di quanto è stato scritto e non ancora tradotto.
Forse è anche questa lentezza intellettuale, questa disattenzione a certe tematiche che permette il dilagarsi di quella precarietà ontologica di cui parla Belcourt.
L’autore è un poeta queer NDN, acronimo di Not Dead Native, e nella sua produzione letteraria esprime tutto il suo esistere, alla ricerca di una nuova forma d’essere, di un posto nel mondo.
Marginalità, impotenza, senso di solitudine, nostalgia, suicidio, rabbia e desiderio sessuale si susseguono tra le righe di questi pensieri lucidi e taglienti come la punta di una freccia avvelenata.
La storia dei nativi d’Americhe è fatta di tutti questi sentimenti, di emozioni frammiste a un senso di fluidità, difeso ma non sufficiente a vincere la forza del post-colonialismo, da cui viene investita ancora oggi.
Il saggio-memoir si apre con una lettera a nôhkom e traspira di amore incondizionato per la nonna paterna, artefice di averlo introdotto al linguaggio degli affetti, una sorta di filosofia d’amore, così la definisce, una resistenza attiva ai soprusi che lo stato canadese attua nei confronti dei Nativi, allarga le braccia anche alla questione di identità e di genere.
Nelle pagine successive, Belcourt si appoggia alle parole di filosofə, come Foucault, poetə – come Ocean Vuong e Édouard Luis – e teoricə del genere queer, creando un’alleanza intellettuale nella quale la produzione letteraria, e poetica, si pone come alternativa al linguaggio ordinario pregno di valori eteronormativi.
«La furia è un atto rivoluzionario. Ho fede nel potenziale emancipatorio della rabbia e in poco altro. La mia furia mi definisce come appartenente a un genere diverso. Voglio essere una cattiva ragazza. […] L’antitesi della cattiva ragazza è l’uomo che si autodistrugge».
Attraverso un duplice stile, fatto di delicatezza e rabbia, Belcourt pone l’accento sulla libertà e sulla gioia – considerata forma di resistenza – sviscerando la Storia e preparando impalcature nuove per raccontare una realtà che pure esiste e non si riconosce nel nome del potere bianco. La lotta, la rivoluzione partono con lui e per lui dalla parola, dalla scrittura, dalla poesia che diviene arma e rende visibile tutti i soggetti posti dalla Storia ai margini.
«Fingersi morti è un sedativo, quindi l’indifferenza non è un’armatura».
Billy-Ray Belcourt
160 pagine
Isbn 978-88-94833-51-5
Traduzione di Sara Reggiani
Prezzo 16€
Compra sul sito dell’editore
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