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Seni e Uova, di Mieko Kawakami
di Paolo Perlini
Natsuko, un'aspirante scrittrice, accoglie a Tokyo sua sorella Makiko e la figlia Midoriko. Makiko è alla ricerca di una clinica nella quale potersi rifare il seno a prezzi accessibili. La figlia Midoriko esprime la sua rabbia con lo sciopero delle parole e comunica soltanto con biglietti scritti.
Il racconto di Natsuko è intervallato dalla pagine del diario della nipote Midoriko che offre un punto di vista diverso della situazione che si viene a creare in famiglia.
Questa è la prima parte e, se non sbaglio, in origine era un libro a sé.
Nella seconda parte Natsuko è una scrittrice affermata, si trova alle prese con la scrittura del secondo libro ma viene distolta da questo proposito perché in lei si fa largo l'idea di concepire un figlio con l'inseminazione artificiale. Inizia un percorso di conoscenza sulle modalità e ciò che implica a livello emotivo questa scelta, sia personalmente, sia nel nascituro.
Tre donne protagoniste, tre comprimarie (le altre sono una scrittrice, l'agente letteraria, un'appartenente a un'associazione che si occupa appunto della questione delle inseminazioni artificiali), e qualche amica sparsa qua e là. Gli uomini si riducono a due: un donatore di sperma, viscido e odioso, e Jun Aizawa, un uomo nato da inseminazione artificiale e che vorrebbe incontrare il proprio padre.
Roba grossa, temi forti, su questo non si discute. E poi tutto quello che segue: la condizione femminile in Giappone, le mestruazioni, il colore dei capezzoli, il seno piccolo, le banche dello sperma, la mancanza di desiderio sessuale di Natsuko, il lavoro sottopagato, la malattia, la morte, la solitudine...
La lettura scorre leggera, qualche volta si sorvola rapidamente ma alla fine, quando ho chiuso il libro mi sono ricordato di una delle classiche note sui temi svolti in classe: "Buono il contenuto, da migliorare la forma".
E in effetti, avrei voluto che mi fosse piaciuto di più, invece, come tanti libri che superano le cinquecento pagine, al termine della lettura ho avuto la sensazione che almeno due terzi fossero inutili. Mi rispiego: l'ho letto volentieri ma non posso negare che spesso ho avuto dei momenti di disappunto. Eppure aveva tutto per essere ottimo: il titolo, la copertina, l'incipit e il contenuto. Dopo averlo terminato, vedo tutto con un occhio diverso. Prendiamo ad esempio l'incipit. Quello che mi sembrava un bellissimo inizio, ora che lo rileggo, vedo che riflette l'intelaiatura di tutto il romanzo:
"Quando voglio sapere se una persona è nata povera, non c'è niente di meglio che chiederle quante finestre c'erano nella casa in cui è cresciuta."
Poteva fermarsi qui e per me sarebbe stato perfetto. Invece l'autrice ha voluto insistere e continuare nello stesso paragrafo:
"Non serve fare domande su ciò che mangiava e sui vestiti che indossava. Per scoprire il grado di povertà è essenziale conoscere il numero delle finestre".
E va bene, potrebbe essere una variazione dell'incipit, un rimarcare il concetto ma probabilmente non era sufficiente e quindi ha proseguito:
"Sì, proprio così, perché secondo me esiste una correlazione diretta tra personalità e finestre. Nella maggior parte dei casi, se le finestre erano poche o addirittura assenti, è abbastanza facile intuire quanto una persona sia stata povera."
Questo ripetuto incipit avrebbe dovuto prepararmi alle ricorrenti frasi tipo questa:
"Ecco, in quel momento mi ero stupita che una come lei fosse capace di ridere con tanta gioia. Ah, e poi mi sono ricordata di quella volta in cui ci siamo viste, dopo che si era fatta una leggera permanente e le avevo detto che le donava molto.
Ah, e poi... che ricorre numerose volte come le bevute di mugicha e le stramazzate sul pouf, il kombini e il bagno pubblico, le pelli unte e il sudore, le numerose domande che la protagonista pone a se stessa. Ecco, credo che sia il libro con il più alto numero di punti interrogativi che abbia mai letto, tutto un susseguirsi di domande che la protagonista pone a sé stessa.
Mi sembra di ricordare che gran parte del romanzo sia nato a puntate sul blog dell'autrice e forse questo è il motivo di una certa ripetitività. Probabilmente è anche lo stile giapponese, il dialetto di Osaka, vai a capire. "Stile fresco e genuino", "scrittura emotiva e di grande sensibilità", "Una voce narrante forte e potente", fino alla parole di Haruki Murakami: «Non potrò mai dimenticare il senso di puro stupore che ho provato quando ho letto per la prima volta Seni e uova di Mieko Kawakami. Mi ha lasciato senza fiato».
Ecco, io ero abituato a un altro livello di letteratura giapponese o forse, quello che è arrivato a noi fino adesso non era nemmeno giapponese. Di una cosa sono sicuro: se questo romanzo fosse stato scritto da un'autrice occidentale, invece di 625 pagine ne avrebbe scritte duecento.
Seni e Uova | Mieko Kawakami
Editore: edizioni e/o
Anno: 2020
Pagine: 624
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© Paolo Perlini
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