Livia Franchini - Gusci (Mondadori)
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“Ero buona. Lo sapevo che ero buona. Sono brava a essere buona con gli altri. Accetto il fatto che tutti abbiano dei desideri complessi.” Ruth ha attraversato la decade tra i venti e i trent’anni accanto ad un uomo che l’ha resa speciale per abitudine e sacrificabile per necessità. È la generazione di giovani che hanno sperimentato per primi l’intimità attraverso un anonimato fittizio, veleggiando dagli sms a MSN messenger fino ai blog e a myspace. Adesso abbiamo sui trent’anni, come Ruth che dopo dieci anni viene lasciata da Neil e rimane sola con l’ultima lista per la spesa compilata insieme. Lavora in una casa di riposo, dove ai suoi occhi le colleghe rappresentano quegli archetipi della femminilità in grado di attrarre e respingere allo stesso tempo chi non si sente calzare nessun ruolo specifico se non quello dell’esclusa, e mentre si ritrova suo malgrado a dover organizzare un addio al nubilato che non è proprio nelle sue corde cerca di riscoprire (o ricostruire) quelle parti di sé che ha accantonato. La sua lista della spesa, con le sue pose e le sue difese.
Il primo romanzo di Livia Franchini fa pensare ad una sorta di chick lit in scarpe comode e consumate, che ti blocchi a fissare costernata sull’asfalto di un crocevia affollato, mentre un mucchio di persone che sono smarrite esattamente quanto te - ma non lo sembrano affatto - ti sciamano attorno, dirette da qualche altra parte. E tu sei ancora lì a fissarti le scarpe.
Io dico che se un’imbronciata Jane Austen facesse ubriacare una più sincera Sophie Kinsella fonderebbero un gruppo di lettura cominciando proprio da Gusci.
Jessica Andrews - Acqua Salata (NN editore)
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La storia di Lucy è suddivisa in frammenti, elencati tramite una raffica forsennata di sublime disordine ordinato, e la particolare struttura narrativa si rivela sicuramente un punto di forza.
I frammenti compongono un mosaico comprendente un “prima” nella provincia di Sunderland durante l’infanzia e l’adolescenza, un “dopo” londinese durante gli studi universitari, e un “e adesso?” di fronte all’agitato mare irlandese dove affondano le radici della sua storia familiare.
Prima dopo e adesso si alternano in salti temporali a cui l’autrice riesce ad integrare abilmente coerenza, perché dopo poche pagine abbiamo già capito molto: Lucy ha passato l’infanzia in mezzo ad affascinanti ubriachi disfunzionali, è fuggita a Londra per frequentare il college, tentando di valorizzare quella creatura che credeva dovesse emergere dal fondo dei cocktail ingurgitati ballando i Libertines fino all’alba prima di andare a scuola senza avere dormito, e dopo la laurea si sorprende stomacata dalla vita che credeva di voler vivere in una metropoli tentacolare. Si trasferisce in Irlanda, nei luoghi delle sue vacanze estive, lontana da tutto, anche dalla figura della madre così importante per lei, per suo fratello nato non udente, per tutti coloro di cui quella donna incantevole e combattiva si dovette fare carico da sola.
Vicenda familiare e romanzo di formazione, denso ma ebbro di quella spinta che nutre il desiderio di vedersi donne definite e incorniciate all’interno di uno scatto polaroid dai toni vintage. Per poi volerne uscire.
“Vorrei essere visibile e voglio essere invisibile, o forse vorrei essere visibile per alcune persone e non per altre. Mi sembra ingiusto non poter scegliere”.
Pajtim Statovci - Le transizioni (Sellerio)
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Transizione, essere in transito: “Passaggio da una situazione a un'altra, sia in senso statico, come condizione intermedia definita, che in senso dinamico in quanto implichi l'idea di un'evoluzione in atto”. Quanti di noi sono in grado di raccontare la vita in questi termini? In parecchi, forse la maggior parte di chi vive su questo pianeta, ma resi invisibili da un sistema utilitaristico che eccelle nella privazione - della voce, della memoria condivisa. La persona protagonista di questa vicenda, emigrata drammaticamente - quanto drammaticamente lo intuiamo dall’inizio per poi scoprirlo davvero solo nelle ultime pagine - dall’Albania verso l’Italia negli anni novanta e poi verso il resto del mondo, come donna o come uomo inventandosi nuove identità a seconda della situazione e del desiderio, troverà sempre e solo amarezza e rigetto. “La gente non considera speciali, nel senso positivo del termine, coloro che sembrano troppo diversi.” Forse troverà anche malinconica speranza e meraviglia, sì, ma saranno a termine. L’inospitalità che viene riservata ovunque agli indesiderati, colpevoli di non trovare rabbia sufficiente (che è tanta davvero ma mai abbastanza perché forse ciò che la norma richiede è addirittura l’annientamento) da trovare posto tra i pochi sedili scomodi rimasti disponibili, è insormontabile. Ma perché?
“Nessuno è tenuto a rimanere la persona che è nata”, eppure la violenza che travolge chi osa ribellarsi alle condizioni di partenza si insinua in ogni tessuto esistente. Come è possibile concepire un mondo in cui il diritto di transitare, scomporsi, sradicarsi e ricominciare viene messo in discussione?
Pajtim Statovci solleva questo velo per scriverne con delicatezza disperata, e non sono mai parole sprecate quelle di chi indaga le ingiustizie senza tempo. “I’m so fucking stupid, vorrei non essere qui, vorrei non esistere”.
Aimee Bender - L’inconfondibile tristezza della torta al limone (minimum fax)
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Storia dai toni molto particolari, una sorta di realismo magico declinato in fiaba psicologica, la cronaca emotiva della famiglia Edelstein, residente a L.A. La piccola Rose, figlia amata ma non certo preferita rispetto all’introverso fratello maggiore - e lei lo sa bene - a nove anni viene portata d’urgenza in ospedale perché vorrebbe strapparsi la bocca, dopo aver scoperto di percepire chiaramente i sentimenti e le esperienze di chiunque abbia preparato il cibo da lei mangiato. Attraverso le pietanze ricolme di vuoto e di rabbia scopre l’infelicità all’interno del matrimonio dei suoi genitori, la tristezza di sua madre mentre cucina, i sentimenti all’interno di qualunque biscotto fatto in casa, di tutte le persone coinvolte nella preparazione di qualunque cibo masticato. “Le avrei volute cancellare tutte. Ma avrei voluto anche essere ciascuna di loro, e non avrei potuto cancellarle e allo stesso tempo essere loro”.
Sarà un’adolescenza all’insegna della dissimulazione, benedicendo il cibo industriale confezionato da macchinari. Perché tutto è troppo. Il dolore, la noia, ma anche la gioia di cui sono imbottiti i panini preparati dalle famiglie armoniose e senza segreti, a differenza della sua dove scopre di non essere la sola in grado di sentire in modo speciale, e riesce a confessare queste stranezze solo a George, l’unico amico di suo fratello, per cui nutre una cotta non tanto segreta. Ormai adulta Rose dovrà venire a patti con questa capacità di cogliere ogni sfumatura, ma non crediate che la vicenda prenda note stucchevoli.
Ricevere le emozioni altrui in maniera così intensa è davvero un dono? Forse è lecito tentare di sfuggirvi, anche per sempre. Una storia davvero difficile da descrivere, come una fetta di torta rigirata sul palato troppo a lungo, gli ingredienti si confondono nell’intensità che lascia più di un interrogativo. E una triste tenerezza.
Teresa Ciabatti - La più amata (Mondadori)
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Quando analizziamo schiettamente la nostra vita alla ricerca di un significato, e se lo facciamo con l’urgenza che sconfina nel parossismo di Teresa Ciabatti, diventiamo capaci di inventare cose reali, accadute veramente.
No non mi sono sbagliata a scrivere, questo può non avere il minimo senso per chi ama suddividere in generi e necessita di fare una netta distinzione tra fiction e documentario, romanzo e memoir. È un dibattito che mi interessa poco, e se viene spontaneo chiedersi quanto ci sia di vero nella ricostruzione della genesi della famiglia Ciabatti e dell’infanzia di Teresa raccontata in queste pagine (era veramente un potente massone il professore suo padre, e quello di spalle era davvero Licio Gelli?) è altrettanto naturale sentire forte, andare dove la narrazione di qualità ti deve portare. La Teresa di queste pagine fruga, scava, è ossessionata da ciò che non tornerà, come i milioni dilapidati da suo padre e un’infanzia idilliaca, privilegiata, un costume rosa a fragole e la pretesa dei giocattoli migliori. Fruga ciò che è perduto, vuole capirlo e sopratutto vuole trovare il trauma.
Qual è il mio trauma? Perché sono così? È colpa di mio padre, di mia madre? Questa indagine forsennata, accompagnata da un crescente mistero circa la figura del Professor Ciabatti legata a torbide vicende che tratteggiano uno spaccato di storia italiana, è il fulcro di queste pagine. “Non trovo pace, voglio scoprire perché sono questo tipo di adulto” scrive Ciabatti con coraggio e fiera sfrontatezza, nessun pomposo distacco per aggirare il discorso. Sono domande che appartengono alla coscienza collettiva, e nessun severo inarcare di sopracciglia può metterle a tacere. Cosa genera questa sensazione di incompletezza, di non funzionalità?
Marina Cuollo - A disabilandia si tromba (Sperling & Kupfer)
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Marina Cuollo mi fa ridere, e mi fa sentire proprio una cogliona.
Una cogliona abilista, perché francamente la prima volta che ho sentito questa parola e ci ho ragionato sopra ho capito che in buona misura posso esserlo anche io. Ci chiameranno pure “normodotati”, ma direi che questa norma lascia spesso a desiderare, e l’intera sezione del libro che Marina ci dedica, elencando le reazioni più tipiche e inappropriate che i cosiddetti “normo” sfoderano di fronte ad una persona disabile, ne è la prova. Fa ridere, ma anche interrogare. Siamo sicuri di non aver mai sparato anche noi la super cazzola? Dunque che fare dopo aver realizzato “sono una cogliona”? Provare a decostruire, buttare giù con pazienza la resistente struttura della coglionaggine, anche grazie al valente aiuto di chi ha la rara dote di ironizzare senza mai scendere a patti con la propria dignità, anzi sbattendotela in faccia. Marina ci racconta che non esistono gli eroi, e certamente se esistono non è una disabilità a renderli tali, anzi puoi essere disabile e pure stronzo, giuro: c’è un’intera sezione del libro a riguardo (a quanto pare non è una normo-esclusiva). Esistono le persone: mangiano dormono studiano lavorano (non che i normocoglions glielo rendano sempre agevole) e se gli va, come titola il libro, trombano.
Questo non è un saggio per chi necessita di sentirsi una gran brava persona, ma per ridere dei propri sciocchi limiti con la voglia di superarli guardando il mondo da una prospettiva differente. E se proprio non volete cambiare idea perché siete tra quelli che hanno sempre capito tutto dalla vita e non devono farsi insegnare niente da nessuno, spero che prima o poi incontriate Marina al ristorante e le offriate dei pennarelli mentre aspetta la pizza. Ma questa la capirà solo chi avrà voglia di leggere almeno fino a pagina venticinque.
© Giulia Gazzo