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Elvira Navarro è una donna piccola e timida con due occhi giganteschi che ti scrutano luccicando. Questa piccola donna è un’insegnante di scrittura creativa ma soprattutto una prolifica scrittrice che ha deciso di raccontare una storia, questa storia, che è una necessità. È il diario di una malattia sociale comune a molti, la fobia di perdere il lavoro, l’ansia della precarietà, il desiderio di vivere una vita completa tentando di barcamenarsi tra una vita sociale e amorosa soddisfacente in una situazione politico-economica disastrata.
Elvira, che ho avuto la possibilità di incontrare al Salone del libro di Torino nell’ambito della sua prima presentazione italiana de "La Lavoratrice", dice di aver cominciato a scrivere questo romanzo nella forma di racconto breve già tra il 2002 e il 2003, ma a quel tempo i racconto era troppo legato alla sua vita personale e sentiva il bisogno di prendersi del tempo per distaccarsi emotivamente dalla storia; questo l’ha spinta a lasciarlo in un cassetto per altri sei anni prima di decidere di ampliarlo.
Come per le opere migliori il testo è scaturito quasi naturalmente dopo che la sua vita ha toccato il fondo: inanellando una sequela di lavoretti precari in ambito editoriale accompagnati dal cambio altrettanto frenetico di abitazioni, in linea con la crisi economica che ha colpito la Spagna in quegli anni.
L’incipit della Lavoratrice è crudo e spiazzante e coglie subito nel segno entrando in medias res nella vita disorganizzata di una giovane donna senza prospettive qual è la protagonista: nelle varie peregrinazioni tra un appartamento condiviso e un altro Elisa si ritrova a vivere con una ragazza alquanto misteriosa nella periferia di Madrid. L’aura di indipendenza e ambiguità che avvolge la coinquilina diventa per Elisa un’ossessione borderline in cui riversare tutte le sue paranoie in un crescendo di situazioni paradossali.
Come ha raccontato la Navarro lei per prima si è sempre chiusa in se stessa nei momenti di difficoltà, tanto che nell’ambito di una terapia psicologica le era stato consigliato di tenere un diario per monitorare tutte le occasioni in cui riusciva a rapportarsi con degli estranei. Questa incapacità di esprimersi la scrittrice la riversa sulla carta, dove il suo bisogno espressivo viene canalizzato seguendo l’impulso di trasferire i propri messaggi e stati d’animo in dei personaggi fittizi che le permettano di definire l’opacità del pensiero inespresso.
Ne viene fuori un testo fortemente disturbante che prende l’avvio dall’esplicitazione di un disagio interiore e prosegue rotolando come da un’altura spinto da un moto crescente trascinando con sé eventi piccolissimi che nella narrazione diventano valanga potentissima, un bailamme emotivo ansiogeno che scuote anche il più imperturbabile dei lettori. Ogni personaggio porta in scena il suo bagaglio di paure e tensioni che si intrecciano abilmente e seppur la metà del romanzo rappresenti una stasi essa è una stasi carica di nervosismo più o meno represso, che trascende la contingenza dell’intreccio e si fa universale. Ogni nuovo passo è una discesa verso l’insanità mentale analizzata con schiettezza e puntuale crudeltà dall’autrice, che opera un processo di sottrazione con il suo stile letterario frutto di letture impegnative dal punto di vista psicologico: una delle autrici che maggiormente ha influito nella sua formazione è stata, infatti, Marguerite Duras, dalla quale la Navarro ha imparato il poter della parola ma soprattutto del silenzio in letteratura, un silenzio che si fa presenza e potenziale nella mente di chi legge.
Elvira Navarro | La lavoratrice
LiberAria edizioni
18€
176 pagine
© Christina Bassi