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Questo è un pasto di cui è difficile parlare. Ammesso che si possa essere davvero oggettivi e neutri nell'osservare qualcosa, fornire una panoramica disinteressata in questo caso mi è fondamentalmente impossibile, perché l'unica costante che mi sembra utile rilevare dopo la lettura delle opere di Gipi è: mi interessa ascoltare le storie che questo autore ha da raccontare.
Direi, a prescindere. Anche senza tavole di acquerelli su cui lasciar vagare lo sguardo e riferimenti autobiografici più o meno romanzati, elementi che a molti potrebbero essere mancati nella lettura de “La Terra dei Figli”.
Non ci sono strati di colore a comporre paesaggi immensi nella gabbia di una pagina o personaggi che si muovono con una vitalità di tratti che ne delineano quasi più l'interiorità che l'aspetto esterno. Le tavole non sono composte da ampi spazi in cui poter ossigenare il cervello e da claustrofobiche vignette piene di parole e personaggi.
Da questo punto di vista “La Terra dei Figli” è un'opera molto più piatta. Il tono con cui viene raccontata è secco, asciutto, essenziale, privo di abbellimenti o virtuosismi. Tutto ciò continua a comprovare il fatto che non importano tono, stile, tema della storia, io voglio semplicemente (e compulsivamente) continuare a leggere le storie che questo autore ha da raccontare. Mi affeziono a tutte, nella loro varietà di voci e linguaggi, come se fossero enti a sé stanti e l'autore fosse il tramite, l'interprete che si trova a scegliere la forma nella quale esprimerle. Come se venisse prima la storia e poi chi la racconta. È una caratteristica che si dà per scontata ma non è affatto frequente trovarla.
La semplicità de “La Terra dei Figli” è il terreno su cui poggia questa storia. Lo spessore del volume trae in inganno. La lettura è molto scorrevole e rapida, inciampa in brevi e lapidari scambi di battute dei personaggi che non hanno più elasticità di linguaggio, né tempo né strumenti né motivo di smussarlo e ammorbidirlo. Si procede fino alla fine molto rapidamente, come se fosse una specie di racconto orale, un presagio da cui farci inquietare le notti, accompagnare nei giorni.
“La terra dei figli” è terra inquinata e tossica, eredità dei nostri sbagli. Distorsione di rapporti umani, ammesso che di umano sia rimasto qualcosa oltre alla stupidità, alla violenza e ai testi sacri immaginari.
La febbricitante sovrapposizione dei tratti è commovente nel modo caotico e selvaggio con cui riesce a comunicare, pur restando inquadrata in tavole più ordinate e schematiche del consueto. Non c'è posto per i paesaggi di malinconica desolazione. La desolazione stavolta sa di disperazione e abbandono. Di morte. Stavolta c'è solo disordine non studiato a comporre contrasti di vuoti e pieni, un disordine lasciato libero di aggrovigliarsi nei limiti delle strutture fisiche da rappresentare. La realtà viene scomposta e ricomposta in immagini simboliche che l'occhio, per sua natura, sa decifrare, in alcuni casi anche meglio della realtà stessa. Un osso che gettato a terra è definito ed esiste grazie all'ombra che ne segue il movimento e all'erba disordinata che ne accoglierà la forma. Dopotutto, che senso ha rappresentare il più fedelmente possibile una realtà svuotata di emozioni e nomi per riconoscerle, per ricordarle o impararle. Parole rese impronunciabili, nella speranza di dimenticarne il significato. L'unica realtà è quella del disfacimento e della perdita di qualsiasi valore, di ogni punto di riferimento, di amore, superfluo e pericoloso lusso che, nonostante tutto, non può essere debellato e persiste pagina dopo pagina, come la più tenace delle maledizioni o delle malattie.
Questa storia parla di cosa eravamo, cosa non siamo più, cosa saremo. Dove stiamo andando (c'è un posto dove andare?) e ci sarà qualcuno a sorriderci? A ricordarci, a insegnarci ciò che esiste e che fa ancora parte di noi, nella sua forma più grezza e trascurata ma imprescindibile. Un germoglio di speranza che nasce da una terra sbagliata e distrutta. Forse sarà il germoglio più ruvido, fibroso e amaro di tutti ma sarà l'ennesima rinascita, la resistenza feroce, la sopravvivenza istintiva.
Non sappiamo dire se sia un bene tutta questa umana tenacia, a discapito di una onorevole e generosa estinzione. Di certo strazia ogni fibra dell'essere.
E, se non l'avete ancora fatto, dovreste proprio concedervi questo sguardo a un futuro potenzialmente già presente, in tutta la sua crudezza.
In fin dei conti ci vuole più coraggio per guardare e andare avanti che per dimenticare.
Titolo: La terra dei figli
Autore: Gipi
Editore: Coconino Press
Pagine: 150 pp.
Uscita: 27 ottobre 2016
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© Ombretta Blasucci