A quel tempo non potevano piacermi, adesso, forse, potrei ascoltarli distrattamente. I motivi sono tanti ed è buona cosa iniziare dai pregiudizi: sono tedeschi. Non che ce l'abbia con loro, anzi, spesso pure io sono scambiato per un crucco ma negli anni '70 e '80 la musica non poteva essere tedesca, a parte il fenomeno Nina Hagen e l'indimenticabile Nico.
Oltre a questi due, per me la musica tedesca era rappresentata da Beethoven, Bach, Brahms, una triade le cui iniziali erano delle belle e rotonde B.
E sempre in quegli anni la musica era di due tipi: rock o discomusic. Questi non sapevi dove metterli, erano strani, anche nell'abbigliamento, con quelle camicie garibaldine e la cravatta nera. Non lo nego, avevano una loro estetica, ma va da sé, anche le coreografie naziste lo erano.
Continuando con i pregiudizi, erano troppo squadrati e puliti: quelle facce ben sagomate, i capelli quasi scolpiti...un quindicenne ama la trasgressione, la sregolatezza e se non la pratica ne viene comunque attratto.
E poi lo stile: la loro musica era elettronica e io, che avevo abbandonato la tastiera Bontempi per il pianoforte (marca tedesca), non riuscivo ad apprezzare i suoni sintetici.
Infine il nome. Lo so, non si dovrebbe giudicare una band dal nome, tanto quanto non si dovrebbe fare con le copertine e la qualità dei libri. Però quel nome che assomigliava ad una pasta alla crema era troppo duro: Kraftwerk. La traduzione in italiano ha un suono più lungo ma allo stesso tempo metallico: Centrale elettrica. Non poteva comunque andare bene, io e l'elettricità non siamo mai andati d'accordo, ci siamo sempre e solo sopportati, con rispetto.
Il fatto è che a quel tempo, nei suoni secchi e metallici, alcuni sfacciatamente artificiali, non ci trovavo nulla di romantico, anzi, per me erano una totale assenza di poesia, di sentimento, di spirito. Eppure erano il tentativo di creare un linguaggio universale. Il loro stile minimalista ha influenzato numerosi musicisti e tendenze, come la techno, la house music e la musica industriale. Sono innumerevoli gli artisti che gli sono debitori: gli Ultravox, i Devo, il David Bowie di Berlino, Brian Eno, Glass, per dirne alcuni.
Il loro stile persegue sempre un'evoluzione coerente e lo so, riconosco di avere perso qualcosa, e non mi resta che salire a ritroso, consapevole che quello che posso apprezzare adesso è ben diverso da quello che avrei potuto gustare allora. Le mie orecchie non sono vergini, sono già state inquinate da sonorità simili e viene a mancare il fenomeno della sorpresa, lo stupore, il mancamento. È come guardare adesso un film colossal del passato (Ben Hur, Via col Vento, ma pure 2001: Odissea nello Spazio). Non potremo mai provare le stesse emozioni di una prima visione perché i nostri occhi hanno già visto di meglio, il nostro cuore ha già imparato il ritmo, le nostre paure sono state messe alla prova.
Voglio però provarci: il 25 luglio i quattro musicisti di Dusseldorf si esibiranno nell'Arena di Verona, proiettando gli spettatori in un'atmosfera onirica, fatta di immagini e suoni senza tempo.
lun, 25/07/2016, ore 21.15 Arena di Verona
Piazza Bra, 1, 37010 VERONA
© Paolo Perlini