Credo di aver sviluppato, negli anni, una seria dipendenza dalle citazioni nelle prefazioni dei libri, in quelle frasi celebri (o anche no) scelte dall’autore come la finestra più adatta per sbirciare all’interno del mondo racchiuso nelle pagine che seguiranno.
L’iter ossessivo è sempre lo stesso: entro in libreria, vago tra i corridoi in cerca del richiamo, lascio guidare i sensi della mia curiosità dalla posizione del romanzo sullo scaffale. Più è nascosto o sommerso da altri libri, più il pensiero di un tesoro non visibile dalla sovraccoperta si fa pulsante.
Qualche giorno fa, in uno dei miei compulsivi ingressi in Feltrinelli, mi sono imbattuta nella citazione all’inizio di un romanzo di un autore svedese:
“La malinconia è la felicità dell’essere tristi” (Victor Hugo).
Fran. Pezzi di muro che cadono.
O un quadro che si stacca all’improvviso dal chiodo, come direbbe Baricco.
(Per la cronaca: il libro era di un tale chiamato –stiwesson. O --ueriksur. Ok, non lo so. Voi riuscireste a ricordare il nome di un mobile dell’Ikea? Ecco no, nemmeno io)
Dicevamo: fran.
Presente il rumore che fa nella tua testa una rivelazione - che ancora non riesci a capire del tutto - e il tremore che segue? Siamo lì.
Per giorni la frase di Hugo mi ha ossessionata, rincorsa, spinta invano verso la comprensione di quell’epifania lasciandomi una strana sensazione a forma di punto interrogativo. Ma sapevo che prima o poi la finestra sarebbe arrivata, anche se non dentro un romanzo svedese (che poi, ovviamente, non ho comprato. Non me ne voglia –stiwesson. –ueriksur. Sì, ‘nsomma. Lui).
Ebbene, la finestra si è aperta tra gli alberi durante il concerto che i Daughter hanno tenuto l’8 agosto nell’ambito della rassegna Villa Ada Roma Incontra il Mondo 2016.
Che sarebbe stato un evento imperdibile era già nell’aria dall’uscita nel gennaio scorso di “Not to disappear” (4AD), secondo acclamato album della indie rock band inglese. Ma la portata di quanto un concerto sia evento per ciascuno la fa anche la sensazione con cui ci si avvicina al giorno stabilito. E la mia, si è capito, era profonda, oscura, apparentemente vuota ma con dei bagliori a segnare la strada.
Come una domanda ossessiva che attiva la ricerca, come le scie luminose delle torce di un sub immerso negli abissi.
Perché questo è stato il live dei Daughter: un tuffo nell’oceano freddo, ma calmo e armonioso, con le bombole d’ossigeno cariche. A partire dalla scenografia del palco, volutamente scarno e incorniciato dai soli fari. Come a dire “non servono effetti, l’unica torcia che può guidarti sono le tue viscere”.
È stato un tuffo corale di un pubblico sublimato in un sommozzatore collettivo con il boccaglio inserito che, difettando della vista nell’abisso, ha amplificato l’udito riuscendo a sentire solo il suo respiro e il suo battito cardiaco.
Non c’è stato nemmeno bisogno di divieti o applicazioni ad hoc per bloccare l’uso (fastidiosissimo, specie se non sei in prima fila) dei telefonini per immortalare un momento invece di viverselo. Elena Tonra e soci sono riusciti ad ammutolire tutti, nel vero senso della parola. Non un rumore, non un chiacchiericcio distratto. Solo qualche “shhh” necessario per mantenere la concentrazione, solo gorgoglii come l’esplosione delle viscere che un sub sentirebbe durante la scoperta improvvisa di un relitto sul fondale. Trascinando il pubblico attraverso le malinconiche correnti strumentali delle scarnificate “Smother” e “Lifeforms”, ad esempio, i Daughter sono riusciti a fondere in un unico organismo cellulare i loro polmoni rotti e ansimanti agli affanni di tutti.
“‘Cause most of us are heaving through corrupted lungs”, appunto, come scrive Elena nella nota e attesa “Youth”.
La caratteristica e il pericolo di un abisso, si sa, sono però l’impossibilità di una calma imperitura e l’aumento della pressione che innalza il battito cardiaco e il fischio nelle orecchie, costringendo il sub a risalire in una “veloce danza”. I Daughter lo sanno bene e sfoderano la combo “Amsterdam” e “Human” unite in un fade out/fade in dalle atmosfere dubstep, trasformando il parco di Villa Ada in un club londinese con Jamie XX o Flume come dj resident.
In “Not to disappear” l’elettronica, i sintetizzatori e le atmosfere ambient non mancano di certo, per cui non è stato certo spiazzante ritrovarsi a ballare sotto le stelle nonostante i testi cupi sulla morte e la fine di un amore. La sorpresa è arrivata all’improvviso sulla bocca di Elena, allungata in un grande sorriso nel sentire il chitarrista Igor Haefeli pronunciare: “And now we’re gonna play another sad song about dying”.
È stato in questo preciso istante che lo spiraglio lasciato dalla citazione di Hugo si è aperto in una finestra sulla mia risposta: bisogna accogliere la malinconia e non viverla con l’angoscia della tristezza, perché non sono la stessa cosa. La tristezza è annichilente, disarma con la convinzione che niente tornerà come prima. La malinconia, invece, è apertura. Di un cassetto di fotografie, di un ricordo nostalgico ma insieme di una possibilità di crescita nel presente.
È il sorriso di Elena nel cantare di morte e dolore sapendo che morte e dolore, però, l’hanno portata lì sul palco a realizzare un sogno.
Menzione d’onore della serata, c’è assolutamente da dire, va a Wrongonyou (nome d’arte di Marco Zitelli), giovane cantautore folk dei castelli romani scelto proprio dai Daughter come gruppo d’apertura. Onore a lui per averci fatto immaginare le foglie autunnali con la sua voce soul e il suo stile a metà tra Bon Iver e Paolo Nutini, riuscendo però ad appropriarsi di un genere rendendolo suo con le aperture melodiche italiane. Per tutta la durata dell’esibizione lo scollamento dalla sua provenienza geografica è stato forte, tant’è che sul suo finale “daje regà, mi era mancato suonare a Roma” la sorpresa di chi non lo conosceva è stata tanta. Onore a lui per aver stregato tutti con il suo talento da one man show e per averci fatto capire che una chitarra e un vocoder bastano per creare la magia.
Tuffi nell’oceano, polmoni rotti, epifanie, risposte.
E tutto questo per una citazione. I mondi realmente tangibili che, a volte, non ti aspetti da un libro nascosto sullo scaffale.
Per info:
Villa Ada Roma Incontra il Mondo: http://www.villaada.org/
Daughter: http://ohdaughter.com/
Wrongonyou: https://www.facebook.com/wrongonyou/
© Isabella Di Bartolomeo